venerdì 26 giugno 2009

Lo scrittore tra gli scienziati

Il Santa Fe Institute (SFI) è un posto speciale. Situato poco fuori dalla capitale del New Mexico, dai suoi 2400 metri circa sul livello del mare domina le montagne circostanti tenacemente verdi e le vaste, aride pianure che si stagliano sullo sfondo. SFI è il centro per eccellenza dedicato allo studio della complessità - ovvero di ogni tipo di sistema composto da tanti componenti (come le cellule, il cervello, gli ecosistemi, le società ed altro) la cui dinamica globale emerge, talvolta in forme inaspettate, da semplici regole di interazione locali. Dunque, in questo posto elegante ma informale, luminoso ed accogliente, che compie quest’anno 25 anni, economisti, fisici, biologi, matematici, sociologi, ecologi ed informatici di spicco convivono ed interagiscono armonicamente, partorendo idee e teorie spesso eterodosse che uniscono trasversalmente discipline tradizionalmente isolate. Particolarmente alle 3 del pomeriggio, quando quotidianamente i nostri abbandonano per un po’ le loro investigazioni private per partecipare all’imprescindibile rito del the. Una mano regge il piattino con torta e frutta, l’altra scrive col pennarello equazioni differenziali sulle vetrate del patio interno. Arazzi stile pueblo sui muri; aule per seminari e cucina; divani, libri, riviste e giochi distribuiti un po’ ovunque: ci sono molti modi per pensare seriamente, per esempio trovandoci gusto in situazioni inusuali.



Già prima di arrivare al SFI per la scuola estiva sui sistemi complessi sapevo che, oltre a personaggi mitici come Murray Gell-Mann (premio Nobel per la fisica), Kenneth Arrow (per l’economia) e Stuart Kauffman, l’SFI ospita anche Cormac McCarthy - il Faulkner dei nostri giorni, per parafrasare Baricco. Ah, eccolo là! Camicia bianca a quadri e jeans classici: se non ne conoscessi le foto non lo distinguerei dagli altri. “Hey salve, sei italiano?” mi dice (in inglese, NdA) mentre finisce di sbirciare la sua casella di posta - che, come quella degli altri residenti, somiglia a una raccolta di contenitori di lp 33 giri - e prima che mi sovvenga che non mi sono preparato una traccia di conversazione. Vabbè, improvviso come al pianoforte. Si appoggia a un tavolo li vicino, lontano dalle chiacchiere degli altri, posa le sue carte e fortunatamente mi mette subito a mio agio - in inglese non si può neanche dare del lei per smaltire l’imbarazzo di avere davanti un vincitore del Premio Pulitzer per la letteratura (per il romanzo “La strada”, NdA). Mi viene voglia di chiedere: “Ma come nascono i tuoi romanzi?”, ma ho l’opportunità di scartare quella domanda banale perché lui mi sta già chiedendo se mi piace il posto e la scuola. E’ fantastico, gli dico. “Lo vedi? Ecco perché ci vengo!” mi incalza eccitato. E mi viene in mente che lui notoriamente preferisce la compagnia degli scienziati a quella di altri scrittori. Con lo sguardo attento, l’espressione serenamente curiosa, mi chiede di me. Sembra sinceramente interessato, sembra provare piacere a conversare con gente nuova - ma non dovevo essere io a fare domande? Ascolta assorto l’interlocutore, perché “quando parlo con una persona sono qui, ora … molte persone non sanno cosa questo significhi!”. Rapidamente e placidamente arriviamo a parlare di creatività ed ispirazione. “Ci sono varie sorgenti di creatività, e molti modi per essere creativi” mi spiega citandomi uno studio in merito. E quando inaspettatamente infila nel discorso una “gaussiana” mi viene di dargli una pacca sulla spalla. Sembra molto interessato ai messaggi che il nostro corpo ci manda e che spesso riusciamo a carpire solo a stento. “Pensa a Kekulè, furono i suoi sogni a fargli capire che la struttura del benzene è anulare”. McCarthy che ti intercala esempi di chimica – ‘sto posto deve essere molto salutare. E’ anche molto affascinato dal potere delle analogie come strumenti per collegare enti o concetti apparentemente lontani: un altro motivo delle sue frequentazioni eccellenti. Da par mio, non posso non alludere un poco alla sua produzione, ma per prendere l’ostico argomento di lato gli chiedo se gli è piaciuta la versione cinematografica del suo penultimo romanzo (“Non è un paese per vecchi”, NdA). Mi risponde onestamente che, sebbene non sia la persona più indicata per giudicare, gli pare che il film sia venuto bene, e che i fratelli Coen (registi del film, NdA) abbiano molto talento. “Sta lavorando a qualcosa, ora?” lo incalzo. “Io sto sempre lavorando a qualcosa” mi replica sorridendo. Attualmente è alla quarta stesura del suo nuovo romanzo. E come passa da una stesura all’altra? “ Ci vuole del buon gusto …”. Ecco: tutto qui. Pare quasi facile. E non ha neanche scadenze: “Sono libero di fare proprio quello che mi pare e piace!”. Mica male. Ma aggiunge che, pur avendolo fatto, non gli piace scrivere rappresentazioni teatrali, “perché devi stare a combattere con tanta gente, mentre se voglio un romanzo lo scrivo anche a colazione”. Conosce alcuni dei suoi traduttori, con cui lavora personalmente a casa sua perché vuole accertarsi della buona riuscita dell’operazione. Chissà se sa che in latino la radice di “tradurre” è la stessa di “tradire”.
Poi guarda le sue lettere, “scusa ma ora devo andare in banca – tanto la scuola non è ancora finita, ci rivediamo la prossima settimana, vero?”. Con piacere.