martedì 15 marzo 2011

Come per gioco

Una parte significativa della popolazione percepisce oggi la realtà attraverso le tecnologie, massimamente quelle computazionali e telecomunicative. Ma, a priori inaspettatamente, i contenuti trasmessi e i modi in cui vengono formattati e veicolati dalle stesse tecnologie sono a crescente impatto e contenuto emotivo. Per cui, sebbene quella in cui viviamo sia una realtà ubiquamente pervasa da strumenti tecnologici frutto di razionalità applicata, essa viene percepita e vissuta in maniera sempre più emotiva. Ragione ed emozione si trovano così a competere di fronte alle decisioni, con risultati spesso spiazzanti.
Delle notizie si legge a mala pena il titolo, o si presta più attenzione alle immagini che al testo (eventualmente parlato), così da poter vagliare la maggior quantità di novità possibile. I media e le strade delle città sono dominati dalla pubblicità, in cui il prodotto originale con le sue effettive caratteristiche è completamente scomparso e proiettato in una dimensione alternativa e ideale, sostituito da invenzioni vistose, trovate accattivanti, accostamenti provocanti e motti evocativi. La propaganda politica non si basa più su programmi operativi fondati sulla comprensione dei problemi attuali nella prospettiva di una loro soluzione sostanziale, ma su retoriche immaginifiche che parlano agli istinti dell’elettorato e sono condite da raffinate tecniche di manipolazione.
A ben guardare, molto di questo rivolgimento vede la prevalenza dell’immagine (più in generale, del concreto e del tangibile) sul linguaggio (l’astratto e non quantificabile). A livello di elaborazione cerebrale, è noto che i segni (e quindi le immagini) sono prioritarie sul linguaggio (da cui l’adagio di Goethe, secondo cui il linguaggio è stato dato all’uomo per nascondere i suoi pensieri); esse vengono cioè elaborate prima del linguaggio, in zone del cervello più profonde e antiche. Questo spiega l’impatto emotivo, forse inconscio di alcune immagini (tra cui i cosiddetti archetipi), e il loro ancestrale impiego in ogni ambito dell'attività umana (dalle metafore letterarie ai simbolismi settari). Ma porta anche a pensare che la massiccia ristrutturazione della comunicazione moderna attorno alle immagini possa indurre una diffusa regressione a strutture di pensiero primitive, o se si preferisce infantili. Strutture con le quali ci troveremmo a gestire tecnologie prodigiose ma delicate e, in non pochi casi, potenzialmente pericolose.
Prendete l’iPad - lo cito solo perchè eclatante; troverete facilmente molti altri esempi attorno a voi. Tanto ingegno tecnologico dietro un oggetto elegante e semplicissimo da usare: non solo un unico tasto fisico, ma soprattuto uno schermo per immagini nitidissime. E, ovunque, icone. Immagini colorate, divertenti, palesi e curiose che esprimono chiaramente la funzione cui permettono di accedere bypassando completamente la loro menzione esplicita in forma linguistica. Un leggero tocco e via, il gioco inizia e potrebbe continuare ad libitum a furia di tocchetti qua e la, minuscoli gesti che danno facile accesso a funzionalità di grande complessità tecnologica ed algoritmica. Massimo effetto con il minimo impegno o con la minima percezione dello sforzo celato: esattamente ciò che fa la più grande gioia dei bambini.