Penso che, perlomeno a livello di dinamica psicologica, quelli che qui chiamo anelli causali siano così ubiqui, e presenti nell’esperienza di così tante persone, che meritino di essere discussi esplicitamente.
Penso che (almeno a livello psicologico) si tenda ad introdurre delle relazioni causali tra due entità (A e B) che, in base alla direzione del vincolo, vengono definite come causa ed effetto (B, che avviene a causa di A). L’eventuale isomorfismo con un dato oggettivo e reale del legame causale instanziato non è rilevante in questo contesto (non fosse altro perchè è difficile giustificare qualcosa come oggettivo a livello psicologico). Ciò che è importante secondo me è piuttosto che l’unidirezionalità della relazione causale – ammesso che il legame stesso esista – è, nella maggior parte dei casi, una forzatura o il risultato di una visione parziale e non bilanciata della dinamica psichica – una sorta di censura, insomma. Perchè molto spesso (se non quasi sempre) invertendo il ruolo della suddetta causa con quello del suddetto effetto (chiamando B causa di A) si stabilisce un contro-legame causale che, sebbene con iniziale sorpresa, ha senso ed anzi mette in luce aspetti irrisolti o insospettati della situazione. Dopo simili rivelazioni, non si può più legittimamente assegnare univocamente i ruoli di causa ed effetto; è più corretto affermare, piuttosto, che A e B sono coinvolti in un anello causale, in cui ciascun ente è a sua volta causa ed effetto dell’altro. Insomma, io sostengo che se tra due entità psichiche si è stabilito un legate causale, esso è molto più spesso bigettivo di quanto non sia soltanto iniettivo. I due enti sono inclusi in un abbraccio circolare, un anello di reazione positiva in cui ciascuno produce l’altro e a sua volta ne risulta esaltato.
Come si installa un anello causale? Penso che in esso si possa entrare seguendo, per motivi congiunturali, uno qualsiasi dei legami causali, e questo è sufficiente ad innescare la dinamica del feedback. Senonchè, con il passare del tempo è facile scordarsi di tale direzione o motivo di ingresso, così che la sola cosa che rimane in mente è l’anello causale in sè, che si autosostiene indefinitamente.
Pare che già Ippocrate ritenesse come errore fatale per una corretta cura lo scambio tra sintomo e causa della malattia. E, da quanto comprendo, pare che anche in psicanalisi si tenda ad interpretare l’institenza manifesta nel sostenere come veritiero uno solo dei rami causali che formano l’anello (per esempio, “Sono solo perchè non ho amici”) come un interessante indizio di (auto)censura. Nel qual caso, proporre al soggetto di percorrere l’anello nel senso inverso al solito (“Non ho amici perchè sono un solitario”), per quanto sconcertante possa apparire, può aiutare a superare dei blocchi o a guadagnare intuizioni salutari.
Fin qui la situazione psichica. Si potrebbe poi speculare se questa dinamica psichica abbia un corrispettivo nella realtà fisica esterna – anche ammettendo che ciò non si esaurisca nel principio di azione e reazione – ovvero se ad ogni legame causale introdotto (“ammesso e non concesso che esista” direbbe Hume) ne corrisponda uno nella direzione opposta. Sembrerebbe una congettura interessante, e rilevante nella misura in cui le reti e le loro fenomenologie non lineari e piene di anelli di reazione tendono a pervadere la realtà quotidiana; tuttavia probabilmente falsa nel caso generale, se è vero che grafi orientati permettono operazioni di inferenza più generali di quelli non orientati.