giovedì 5 novembre 2009

Considerazioni sulla musica minimalista


L'atmosfera musicale di inizio secolo scorso era satura. Tutto sembrava essere gia' stato fatto. Le strutture armoniche classiche erano state prima allargate, poi trascese e infine abbandonate in vario modo (vedi jazz, dodecafonia). Non solo i mezzi effettivi, ma anche le potenzialita' espressive piu' pure e teoretiche della Musica sembravano esaurite, esauste. E' in questi momenti dove l'illusione della fine di ogni possibilita' dilaga, dove l'ombra delle gesta di umane, troppo umane persone si allunga e deforma fino a sembrare imbattibile e irraggiungibile - e' in questi desolanti frangenti che le avanguardie intervengono, con apparente irriverenza e leggerezza, a iniettare linfa vitale e rigenerante in tessuti morenti.

Come scacciare quell'illusione? La musica e' lontana dall'esaurirsi perche' la combinazione fattoriale dei tantissimi parametri che la governano genera uno spazio di possibilita' enorme. Ogni volta che questo non appare evidente, significa che qualcuno dei parametri ha preso il sopravvento e ha compattificato gli altri, assottigliando lo spazio delle soluzioni fino ad esaurirlo.
Cosi' alcune avanguardie presero di mira il primato della melodia nella musica. Lo aveva gia' fatto Schoenberg in qualche modo, inventando temi alieni con la permutazione non ripetitiva dei dodici semitoni della scala occidentale e combinandoli tra loro con tecniche di contrappunto classiche. Il minimalismo tento' qualcosa di meno radicale ma non meno profondo. Perche' nascose una idea geniale e innovativa dietro una parvenza assolutamente banale e, notoriamente, noiosa.

Prendiamo un tema musicale. E leghiamo l'ascoltatore a un palo senza possibilita' di sottrarsi all'ascolto di tutto il brano che sta iniziando - un brano lungo e in bassorilievo. Il tema deve essere melodicamente e strutturalmente semplicissimo - nessun intervallo azzardato ne' accordo sovrabbondante: il tema si deve capire da subito, deve entrare nell'ascoltatore naturalmente e senza destare sorpresa, e deve essere evidentemente concluso e acquisito gia' alla prima presentazione. Ripetiamo il tema decine di volte, senza variazione alcuna - ne' tonale, ne' melodica, ne' di volume, ne' di timbro. Proseguiamo con l'esposizione di questo tema uguale a se' stesso ancora e ancora. Nient'altro che questa sequenza di note imperterrita, gia' capita da subitissimo e riproposta ad oltranza. Che ci sara' ancora da capire? Niente. Qualcosa di nuovo? No. E allora? Cosa succede allora?
Di fronte ad uno stimolo statico e costante, la mente - un sensore differenziale - dopo un po' di tempo reagirebbe mettendolo in secondo piano e persino ignorandolo - fino al momento di una sua inaspettata variazione. In nostro incessante tema e' pero' uno stimolo ripetitivo e costante, ma dinamico - quindi la mente viene ridestata quantomeno ad ogni riproposizione del tema, per accertarsi che non ci siano sorprese. All'n-esima riproposizione senza novita', la mente comincia a stancarsi di questa assenza di senso nella coazione alla ripetizione e di questa imperitura desertificazione acustica - e comincia ad ipotizzare strutture e significati altri e invisibili per dare un senso a questa eterna ripetizione dell'uguale. La mente cerca di spegnersi e di fuggire e rilassarsi altrove. Il tema e' l'unica cosa che la salva da un'astrazione delirante, riportandola costantemente a terra. Ma poi all'improvviso c'e' un errore nel tema - cambia una nota, o si inverte un tratto della sequenza. E subito la mente si attacca enfaticamente a questa innovazione come fosse una liberazione, una ricompensa graditissima e sostanziosa, una catarsi. Non si tratta di un errore, ovviamente, ma del cuore del minimalismo musicale. Una semplice nota diversa dal noto, un semplicissimo, minimo cambiamento nella sequenza ribatida all'ossessione appare ora come una realizzazione, una conquista, un premio meritato e preziosissimo, la chiave per accedere al senso perduto di un'esperienza ormai lunga e altrimenti prostrante. E pensare che quella stessa nota, dentro un piu' usuale contesto melodico, dentro una melodia orecchiabile e melliflua, non avrebbe destato nulla di simile, ammesso di essere notata.
Poi una variazione ancora, ancora un altra perla data solo a chi la sa apprezzare. E ancora, e ancora. Fino al finale, dove addirittura la comparsa di sequenze canoniche di accordi sembra un azzardo fuori luogo, un'esuberanza non richiesta da chi si e' abituato ad abbeverarsi con gocce di succhi metodicamente distillati.

E' un'esperienza concettuale, ove convergono estetica musicale e neurofisiologia applicata.