giovedì 24 dicembre 2009

Crisi ambientale? Occasione di progresso!

Ripropongo qui, vista la sua costante attualità (o inattualità, mi suggerisce Nietzsche, scusandomi per la finta modestia) e con qualche piccolo ritocco, un intervento pubblicato dal Puzzoloso il 14 Aprile 2007.

Il dibattito sulla crisi ambientale planetaria incombe e penetra ormai (o forse finalmente) in ogni spazio di discussione - pubblico o privato. Punti di vista, talvolta diametralmente opposti, si fronteggiano su un campo di indagine estremamente vasto, sfaccettato e oltremodo complesso (se non altro perchè riflesso diretto della struttura stessa del pianeta che abitiamo). Analisi, proposte, previsioni, scetticismo, disinteresse, dati e contro-dati, ignoranza e speculazione si incalzano a spron battuto per conquistare l'appoggio dell'opinione pubblica, e ( o forse) sopratutto per imporre la direzione preferibile alle manovre geopolitiche globali. La posta in gioco è altissima. Pertanto, a comitati di scienziati e pannelli di esperti, che descrivono schiettamente i sintomi della malattia mondiale e prescrivono approfonditi rimedi di molteplice natura, si oppongono anche personaggi ambigui - pagati da fonti altrettanto oscure espressamente per diffondere, in maniera attendibile quanto capillare, incertezza - disinformazione e senso di inettitudine. Il tutto condito con tanta paura.
Del resto, è ben noto a tutti che, mantenendo l'attuale ritmo dei consumi, le risorse mondiali di metalli saranno esaurite entro pochi lustri; che il petrolio e i combustibili fossili gli faranno compagnia, essendo già quasi finiti; che le foreste stanno scomparendo a ritmi impressionanti; che l'aria, le acque ed i terreni di mezzo mondo sono inquinati e causa di malattie ed epidemie tremende e spesso ignote. E non dimentichiamoci che la prossima glaciazione è imminente. Ora, con questo "global cooling" sulle spalle, quale speranza ci può ispirare a guardare agli anni venturi - noi, cittadini del 1968 A. D.?


Se sono riuscito a soprendervi a sufficienza con questo piccolo sketch (basato chiaramente su fatti veri, che potete controllare personalmente, e che qualcuno dei lettori più vecchi di me potrà anzi confermare personalmente), il mio intento provocatorio sarà stato chiaro.
Infatti, se aggiornate la data finale a quella di oggi e sostituite warming a cooling ottenete dal testo di sopra, penso ne converrete, una sommaria descrizione della situazione attuale.
E' cambiata la polarità del fenomeno (da raffreddamento a riscaldamento, comunque globale), non l'atteggiamento e lo spettacolo che lo circonda - almeno nella percezione mediatica.
Nel corso del secolo scorso siamo stati di continuo (e continuiamo evidentemente ad esserlo) fronteggiati da crisi ambientali irrevocabili, sostenute a gran voce da scienziati di chiara fama che addirittura sapevano prevedere, a loro dire, la data esatta dell'esaurimento del rame, e una lunga serie di accidenti simili. Nonostante il fallimento puntuale delle previsioni, essi continuano a prevedere l'imminente catastrofe - forse perchè a fare previsioni ottimistiche non si è degni di nota. Nulla di questo si è ancora verificato (con ciò sono lungi dal negare l'esistenza dei gravi problemi correlati): le foreste (pur innegabilmente divorate) sono tuttavia ancora in terra, anzi nell'emisfero settentrionale sono apparentemente in espansione; i metalli (uno tra i tanti esempi di risorse non rinnovabili (almeno sulla Terra)) e i combustibili fossili sono ancora in circolo (purtroppo)... Tuttavia, a partire dalla fine degli anni '80 si è iniziato a parlare di riscaldamento globale. Ecco la novità! Ed oggi esso si è affermato come nuovo paradigma (nel senso introdotto da Kuhn).

Conviene pertanto focalizzare l'attenzione su ciò che è rimasto uguale nello sviluppo della vicenda. L'invariante del sistema è la pesante atmosfera di crisi, coartante e permanente, che da decenni permea ogni discussione riguardante l'ambiente. Pur tralasciando in questa sede i riferimenti alle tecniche di controllo di massa, che da secoli vedono nella paura l'ingrediente cardinale, non deve sfuggire l'apparente schizofrenia della società (occidental(izzata), quantomeno) che nonostante il perenne campanello d'allarme, o se si preferisce la pressione ambientalista, non ha mai sostanzialmente mutato i propri ritmi, costumi e consumi di vita. Colpa di una semplice assuefazione? O forse della 'inerzia di massa', coadiuvata da una lenta presa di coscienza del popolo e probabilmente da una consenziente volontà di entità multinazionali?

Non sono in grado di dirvi se il riscaldamento globale è reale o meno (tendo per la prima ipotesi, sebbene di ampiezza minore di quanto presentato come caso peggiore), se quello che è (o forse non è) accaduto lo scorso inverno astronomico è naturale o artificiale, se è tutta colpa della specie homo sapiens sapiens o se per coincidenza assistiamo ad un picco di emissione di radiazione solare di durata anomala.
Non so, lo ammetto; ho solo dei sospetti.
Ma non voglio aver paura del cambiamento, se esso, come sembra, ci sarà.

Penso che il nostro tenore di vita, e ciò che in vita lo mantiene, non siano estendibili arbitrariamente, nè nel tempo nè nello spazio. Penso che la il concetto di rifiuto da ogni ciclo di produzione debba essere sostituito da quello di riciclaggio/riutilizzo. Penso che i concetti di società interamente eco-sostenibile; di veicoli, strumenti, servizi ed impianti ad emissioni ambientali trascurabili o nulle; di gestione razionale delle risorse non-rinnovabili; di approvvigionamento energetico esclusivamente da fonti rinnovabili (solare, eolico, geotermico, bio-combustibili, idro-piezoelettrico, ...); di ripristino delle condizioni dei terreni, dell'aria e delle acque - penso che simili traguardi dovrebbero essere perseguiti di per sè, perchè consistenti, soddisfacenti, vitali e prezioni per loro natura e per tutti (sarebbe d'accordo anche Kant), a prescindere dalle contingenze economico-ambientali del momento. Non dovremmo aver bisogno di crisi e sensi di colpa per perseguirli.
In questo senso, l'allarme ambientale diffuso, qualunque sia il giudizio su di esso, dovrebbe essere accolto o (re)interpretato come un (ulteriore!) incentivo alla rottamazione di abitudini innaturali, per intraprendere finalmente passi sostanziali verso un vero progresso.

Inoltre, è sorprendente pensare come - se è vero che il commercio bada essenzialmente al profitto e non al contenuto su cui si realizza - in pochi si siano resi conto delle immense potenzialità di introito e guadagno che un settore economico-commerciale pristino (il sogno di ogni imprenditore) come quello dell'ecologia possa offrire a chi le sappia opportunamente sfruttura. Guadagnare migliorando l'ambiente - c'è di meglio?

Infine, mai come in quest'epoca dell'interconnessione in tempo reale, globale quanto capillare, ha posseduto la società umana possibilità di cambiamento e velocità di transizione comparabili con quelle di cui disponiamo oggi. Possibilità di auto-organizzazione bottom-up, eventualmente svincolate dal tradizionale controllo mass-mediatico e che possono quindi prescindere dai vetusti canali regimentali.
L'epoca dell'informazione on demand interviene forse proprio nel momento in cui più ne abbiamo bisogno. Non possiamo permetterci di perdere questa occasione di progresso.

giovedì 5 novembre 2009

Considerazioni sulla musica minimalista


L'atmosfera musicale di inizio secolo scorso era satura. Tutto sembrava essere gia' stato fatto. Le strutture armoniche classiche erano state prima allargate, poi trascese e infine abbandonate in vario modo (vedi jazz, dodecafonia). Non solo i mezzi effettivi, ma anche le potenzialita' espressive piu' pure e teoretiche della Musica sembravano esaurite, esauste. E' in questi momenti dove l'illusione della fine di ogni possibilita' dilaga, dove l'ombra delle gesta di umane, troppo umane persone si allunga e deforma fino a sembrare imbattibile e irraggiungibile - e' in questi desolanti frangenti che le avanguardie intervengono, con apparente irriverenza e leggerezza, a iniettare linfa vitale e rigenerante in tessuti morenti.

Come scacciare quell'illusione? La musica e' lontana dall'esaurirsi perche' la combinazione fattoriale dei tantissimi parametri che la governano genera uno spazio di possibilita' enorme. Ogni volta che questo non appare evidente, significa che qualcuno dei parametri ha preso il sopravvento e ha compattificato gli altri, assottigliando lo spazio delle soluzioni fino ad esaurirlo.
Cosi' alcune avanguardie presero di mira il primato della melodia nella musica. Lo aveva gia' fatto Schoenberg in qualche modo, inventando temi alieni con la permutazione non ripetitiva dei dodici semitoni della scala occidentale e combinandoli tra loro con tecniche di contrappunto classiche. Il minimalismo tento' qualcosa di meno radicale ma non meno profondo. Perche' nascose una idea geniale e innovativa dietro una parvenza assolutamente banale e, notoriamente, noiosa.

Prendiamo un tema musicale. E leghiamo l'ascoltatore a un palo senza possibilita' di sottrarsi all'ascolto di tutto il brano che sta iniziando - un brano lungo e in bassorilievo. Il tema deve essere melodicamente e strutturalmente semplicissimo - nessun intervallo azzardato ne' accordo sovrabbondante: il tema si deve capire da subito, deve entrare nell'ascoltatore naturalmente e senza destare sorpresa, e deve essere evidentemente concluso e acquisito gia' alla prima presentazione. Ripetiamo il tema decine di volte, senza variazione alcuna - ne' tonale, ne' melodica, ne' di volume, ne' di timbro. Proseguiamo con l'esposizione di questo tema uguale a se' stesso ancora e ancora. Nient'altro che questa sequenza di note imperterrita, gia' capita da subitissimo e riproposta ad oltranza. Che ci sara' ancora da capire? Niente. Qualcosa di nuovo? No. E allora? Cosa succede allora?
Di fronte ad uno stimolo statico e costante, la mente - un sensore differenziale - dopo un po' di tempo reagirebbe mettendolo in secondo piano e persino ignorandolo - fino al momento di una sua inaspettata variazione. In nostro incessante tema e' pero' uno stimolo ripetitivo e costante, ma dinamico - quindi la mente viene ridestata quantomeno ad ogni riproposizione del tema, per accertarsi che non ci siano sorprese. All'n-esima riproposizione senza novita', la mente comincia a stancarsi di questa assenza di senso nella coazione alla ripetizione e di questa imperitura desertificazione acustica - e comincia ad ipotizzare strutture e significati altri e invisibili per dare un senso a questa eterna ripetizione dell'uguale. La mente cerca di spegnersi e di fuggire e rilassarsi altrove. Il tema e' l'unica cosa che la salva da un'astrazione delirante, riportandola costantemente a terra. Ma poi all'improvviso c'e' un errore nel tema - cambia una nota, o si inverte un tratto della sequenza. E subito la mente si attacca enfaticamente a questa innovazione come fosse una liberazione, una ricompensa graditissima e sostanziosa, una catarsi. Non si tratta di un errore, ovviamente, ma del cuore del minimalismo musicale. Una semplice nota diversa dal noto, un semplicissimo, minimo cambiamento nella sequenza ribatida all'ossessione appare ora come una realizzazione, una conquista, un premio meritato e preziosissimo, la chiave per accedere al senso perduto di un'esperienza ormai lunga e altrimenti prostrante. E pensare che quella stessa nota, dentro un piu' usuale contesto melodico, dentro una melodia orecchiabile e melliflua, non avrebbe destato nulla di simile, ammesso di essere notata.
Poi una variazione ancora, ancora un altra perla data solo a chi la sa apprezzare. E ancora, e ancora. Fino al finale, dove addirittura la comparsa di sequenze canoniche di accordi sembra un azzardo fuori luogo, un'esuberanza non richiesta da chi si e' abituato ad abbeverarsi con gocce di succhi metodicamente distillati.

E' un'esperienza concettuale, ove convergono estetica musicale e neurofisiologia applicata.

venerdì 26 giugno 2009

Lo scrittore tra gli scienziati

Il Santa Fe Institute (SFI) è un posto speciale. Situato poco fuori dalla capitale del New Mexico, dai suoi 2400 metri circa sul livello del mare domina le montagne circostanti tenacemente verdi e le vaste, aride pianure che si stagliano sullo sfondo. SFI è il centro per eccellenza dedicato allo studio della complessità - ovvero di ogni tipo di sistema composto da tanti componenti (come le cellule, il cervello, gli ecosistemi, le società ed altro) la cui dinamica globale emerge, talvolta in forme inaspettate, da semplici regole di interazione locali. Dunque, in questo posto elegante ma informale, luminoso ed accogliente, che compie quest’anno 25 anni, economisti, fisici, biologi, matematici, sociologi, ecologi ed informatici di spicco convivono ed interagiscono armonicamente, partorendo idee e teorie spesso eterodosse che uniscono trasversalmente discipline tradizionalmente isolate. Particolarmente alle 3 del pomeriggio, quando quotidianamente i nostri abbandonano per un po’ le loro investigazioni private per partecipare all’imprescindibile rito del the. Una mano regge il piattino con torta e frutta, l’altra scrive col pennarello equazioni differenziali sulle vetrate del patio interno. Arazzi stile pueblo sui muri; aule per seminari e cucina; divani, libri, riviste e giochi distribuiti un po’ ovunque: ci sono molti modi per pensare seriamente, per esempio trovandoci gusto in situazioni inusuali.



Già prima di arrivare al SFI per la scuola estiva sui sistemi complessi sapevo che, oltre a personaggi mitici come Murray Gell-Mann (premio Nobel per la fisica), Kenneth Arrow (per l’economia) e Stuart Kauffman, l’SFI ospita anche Cormac McCarthy - il Faulkner dei nostri giorni, per parafrasare Baricco. Ah, eccolo là! Camicia bianca a quadri e jeans classici: se non ne conoscessi le foto non lo distinguerei dagli altri. “Hey salve, sei italiano?” mi dice (in inglese, NdA) mentre finisce di sbirciare la sua casella di posta - che, come quella degli altri residenti, somiglia a una raccolta di contenitori di lp 33 giri - e prima che mi sovvenga che non mi sono preparato una traccia di conversazione. Vabbè, improvviso come al pianoforte. Si appoggia a un tavolo li vicino, lontano dalle chiacchiere degli altri, posa le sue carte e fortunatamente mi mette subito a mio agio - in inglese non si può neanche dare del lei per smaltire l’imbarazzo di avere davanti un vincitore del Premio Pulitzer per la letteratura (per il romanzo “La strada”, NdA). Mi viene voglia di chiedere: “Ma come nascono i tuoi romanzi?”, ma ho l’opportunità di scartare quella domanda banale perché lui mi sta già chiedendo se mi piace il posto e la scuola. E’ fantastico, gli dico. “Lo vedi? Ecco perché ci vengo!” mi incalza eccitato. E mi viene in mente che lui notoriamente preferisce la compagnia degli scienziati a quella di altri scrittori. Con lo sguardo attento, l’espressione serenamente curiosa, mi chiede di me. Sembra sinceramente interessato, sembra provare piacere a conversare con gente nuova - ma non dovevo essere io a fare domande? Ascolta assorto l’interlocutore, perché “quando parlo con una persona sono qui, ora … molte persone non sanno cosa questo significhi!”. Rapidamente e placidamente arriviamo a parlare di creatività ed ispirazione. “Ci sono varie sorgenti di creatività, e molti modi per essere creativi” mi spiega citandomi uno studio in merito. E quando inaspettatamente infila nel discorso una “gaussiana” mi viene di dargli una pacca sulla spalla. Sembra molto interessato ai messaggi che il nostro corpo ci manda e che spesso riusciamo a carpire solo a stento. “Pensa a Kekulè, furono i suoi sogni a fargli capire che la struttura del benzene è anulare”. McCarthy che ti intercala esempi di chimica – ‘sto posto deve essere molto salutare. E’ anche molto affascinato dal potere delle analogie come strumenti per collegare enti o concetti apparentemente lontani: un altro motivo delle sue frequentazioni eccellenti. Da par mio, non posso non alludere un poco alla sua produzione, ma per prendere l’ostico argomento di lato gli chiedo se gli è piaciuta la versione cinematografica del suo penultimo romanzo (“Non è un paese per vecchi”, NdA). Mi risponde onestamente che, sebbene non sia la persona più indicata per giudicare, gli pare che il film sia venuto bene, e che i fratelli Coen (registi del film, NdA) abbiano molto talento. “Sta lavorando a qualcosa, ora?” lo incalzo. “Io sto sempre lavorando a qualcosa” mi replica sorridendo. Attualmente è alla quarta stesura del suo nuovo romanzo. E come passa da una stesura all’altra? “ Ci vuole del buon gusto …”. Ecco: tutto qui. Pare quasi facile. E non ha neanche scadenze: “Sono libero di fare proprio quello che mi pare e piace!”. Mica male. Ma aggiunge che, pur avendolo fatto, non gli piace scrivere rappresentazioni teatrali, “perché devi stare a combattere con tanta gente, mentre se voglio un romanzo lo scrivo anche a colazione”. Conosce alcuni dei suoi traduttori, con cui lavora personalmente a casa sua perché vuole accertarsi della buona riuscita dell’operazione. Chissà se sa che in latino la radice di “tradurre” è la stessa di “tradire”.
Poi guarda le sue lettere, “scusa ma ora devo andare in banca – tanto la scuola non è ancora finita, ci rivediamo la prossima settimana, vero?”. Con piacere.

sabato 9 maggio 2009

Il piacere di imparare ad essere inermi



E' evidente agli accorti l'impatto dei mezzi di comunicazione di massa - specialmente nel nostro paese, dove essi sono in buona parte omologati e controllati - sulla strutturazione delle coscienze individuali e sulla definizione della percezione collettiva. Proprio il fatto che di tale effetto la massa non abbia piena consapevolezza potrebbe confermare indirettamente la sua pervasività ed efficacia. Quanto questo costante e imprescindibile condizionamento influisca sulla potenziale predisposizione della popolazione a (non) agire e (non) reagire alla fenomenologia della civiltà contemporanea è fortunatamente oggetto di intensa ed interessante discussione in molti posti da parte di personalità più competenti di me. Sottolineo soltanto che le risorse messe a disposizione dal Web nell'epoca del "mondo piatto" possono significativamente aiutare a corrodere questo stato di cose.
Espandendo opinioni già espresse in un precedente post, qui vorrei aggiungere alcune osservazioni, con l'intento non di giustificare quanto sta accadendo, bensì di cercare di avvicinarmi, pur nella mia ingenuità, ad una sua più chiara comprensione.

Negli anni '60 lo psicologo sperimentale Martin Seligman osservò per primo le ricadute psicologiche della percezione di assenza di controllo ed autonomia individuale. In una serie di esperimenti, tre diversi gruppi di animali, posti a turno nella stessa scatola, dovevano imparare a saltare in una precisa maniera per passare da una certa configurazione ad un'altra. Il primo gruppo, senza precedenti esperienze del genere, riuscì. Il secondo, che era già stato addestrato in differenti condizioni ma verso lo stesso compito, imparò più in fretta del primo gruppo. Ma il terzo gruppo - che era stato educato in precedenza in cattività in condizioni in cui gli era praticamente impossibile sfuggire a dolorosenscosse elettriche - non imparò. O meglio: con fare induttivista, neanche provò ad imparare. Il terzo gruppo, in conseguenza della sua esperienza pregressa, aveva pertanto imparato ad essere inerme, a non agire, anche quando fosse nelle condizioni di poterlo a tutti gli effetti fare. Seligman sviluppò i suoi studi sulla learned helplessness fino a vedere in questo comportamento una radice della depressione clinica.

Potrei suggerire che qualcosa di simile stia accadendo anche in Italia, quantomeno. In breve, a fronte di decenni di immobilismo (statale, politico, burocratico, giudiziario ed altro, strutturale o voluto e indotto) - ovvero, a fronte di una pluriennale educazione o abitudine a constatare le istituzioni in stagnazione ed inerzia se non in malversazione, apparentemente inefficaci o incapaci di combattere le storture e distorsioni del paese; e, nondimeno, la più recente constatazione che la pena non è più certa per chi compie reati (sancita dagli indulti e dai lodi), la popolazione italiana ha imparato che, anche volendo, non ha senso mobilitarsi per cambiare le cose: essa presume ormai, a priori, che ciò risulterà impossibile. Soprattutto, ha imparato a non avere neppure più voglia di mobilitarsi. E anche quando le condizioni cambiassero, e spazi di azione e prospettive di cambiamento potessero essere in vista, avrebbe difficoltà a rendersene conto e a volersi svegliare dal suo candido torpore. Gli sporadici (seppure significativi) esempi in controtendenza rischierebbero di essere anche osteggiati (mi viene in mente Roberto Saviano, e gli altri preziosi esempi residui di giornalismo investigativo).

Allo stesso tempo, ad aumentare enormemente l'inerzia della popolazione ad agire, quindi a convincerla a continuare a trastullarsi nel disfattismo invece di organizzarsi e rivendicare le proprie priorità, è intervenuto con gli anni l'intrattenimento di scadente qualità proposto dalle emittenti televisive nazionali - più in generale, l'orientamento frivolo e votato al divertimento della nostra società. Questo è andato ad installarsi ed a sostenere quella che Erich Fromm chiamerebbe l'insostenibilità della libertà, dell'autonomia, in definitiva della responsabilità. Nel negare, a prescindere, ogni possibile spiraglio di successo alla sua potenziale azione rinnovatrice e scardinatrice, la massa si spoglia evidentemente (e con un certo, liberatorio piacere) anche da ogni propria responsabilità di controllo e supervisione del corretto funzionamento delle istituzioni, continuando a godere senza remore di un "panem et circenses" mai abbondante e attraente come ora. In questo modo, la massa ottiene di soggiacere nell'inerzia alleviando o rimuovendo allo stesso tempo la sofferenza ed il dolore indotte dell'impotenza con il piacere facilmente reperibile sul mercato.

Fromm intravedeva in questa fondamentalmente libidinosa destituzione del potere (e del suo onere) da parte della massa la radice psicologica del successo dei regimi totalitari. Oggi non ci sarebbe bisogno di carri armati e squadrismi per la loro instaurazione. Anzi, quei mezzi rischierebbero di svegliare il popolo insonnolito.

Riferimenti:
B. Schwartz, The paradox of choice(contiene riferimenti ai lavori di Seligman nel contesto della problematica delle scelte nella società attuale).
E. Fromm, Fuga dalla libertà (psicanalisi delle masse sostenuta da esempi storici di inizio secolo XX).

venerdì 1 maggio 2009

Wolfram|Alpha ed il progresso dell'erosione



Ogni nuovo progresso dell'intelligenza artificiale è suscettibile di essere accolto dagli umani come un affronto alla loro intelligenza, come un'ennesimo, ulteriore, temibile attacco a quella intima e privilegiata sfera di libertà in cui si anniderebbe (innatamente o tradizionalmente) il senso e il nucleo della precipua identità umana - un'erosione pervicace e progressiva di quel dominio di attività e capacità che, considerate fino a ieri prerogativa imprescindibile, inviolabile ed irreplicabile dell'intelligenza umana, devono invece ed a malincuore essere ridiscusse e ridimensionate a fronte di una loro meccanizzazione, automazione e, in definitiva, svilimento.
Questa è la disturbante sensazione che può ingenerare in tanti homines sapientes il semplice concetto - o i più recenti risultati - di machine learning. Questo si è verificato con il debutto dei motori di ricerca per il web, in particolare di Google - che seppe imporsi e raggiungere lo status di cui gode attualmente in virtù del suo modo innovativo di ordinare i risultati delle sue incursioni tra lo scibile disponibile online. Esistono decine di altri esempi simili.
Ed ogni volta che simili traguardi tecnologici vengono raggiunti, riaffiora quella sottile e pervasiva inquietudine, quel senso di inutilità e di smarrimento, o piuttosto quel sentimento di minaccia e timore propri del nichilismo. Un turbamento che puntualmente si affievolisce poi con la frequentazione delle e l'assuefazione alle nuove tecniche, ma che prima di ricelarsi in sottofondo spaventa con la violenza che solo lo sradicamento, la distorsione e lo svuotamento di valori sacri e fondamentali può arrecare. Si arriva pertanto a pensare: cosa rimane all'uomo che sia veramente umano? Più specificamente - in relazione all'intelligenza artificiale - con malcelata e, in ultima analisi, ingiustificata presunzione ci si può chiedere: cosa rimane ancora a distinguere l'intelligenza umana da quella meccanica, ed a renderla superiore?

Pochi giorni fa, Stephen Wolfram ha presentato (come può vedere nel video proposto sopra) alla Harvard School of Law (Boston, USA) il primo prototipo di Wolfram|Alpha. La nuova creatura del fondatore e sviluppatore di Mathematica dovrebbe essere reso pubblicamente accessibile online entro Maggio 2009.
Alpha è il risultato di un progetto pluriennale assai ambizioso iniziato anni fa da Wolfram e tenuto essenzialmente segreto sino al momento della sua presentazione. Ciò risulta abbastanza sorprendente, considerato che, a quanto è dato di capire, si tratta di un servizio online in grado potenzialmente di avere lo stesso impatto sul web - e quindi sull'intera civiltà - che ebbe Google a suo tempo. Ma al tempo di Google. In attesa di provarlo, una interessante e critica panoramica delle sue prestazioni, novità e potenzialità è disponibile in questa pagina.
Cosa rende Wolfram|Alpha tanto interessante? Non si tratta di un semplice motore di ricerca, bensì del primo esempio di computational knowledge engine. Alpha introduce un paradigma essenzialmente nuovo nell'elaborazione e fruizione della conoscenza e dell'informazione disponibile online. Per apprezzare il nuovo salto in avanti, è opportuno paragonarlo con il paradigma vigente - quello di Google.
L'utente di Google (ossia oltre il 90% degli utenti della rete) inserisce delle parole chiave nel motore di ricerca, ed il motore gli fornisce come risultato una lista ordinata di siti web dove si può presumibilmente trovare informazione correlata a o evocata da quelle parole chiave. Si tratta in particolare di informazione esplicita, pregressa, già ordinata, ma spesso frammentata e non organizzata nella maniera congeniale per l'utente, cui ancora resta lo sforzo e l'impegno di elaborarla per i suoi scopi. Google non agisce sulla conoscenza: semplicemente facilita l'accesso ai posti dove essa è disponibile, in qualche forma. Google segue il paradigma del surfing, cioè resta in superficie: fornisce soltanto elenchi di siti dove l'utente, immergendosi e ragionando, può con una certa probabilità soddisfare eventualmente la sua curiosità.
Alpha è diverso - e per questo sarà, almeno all'inizio, più un complemento che un diretto avversario di Google. Alpha interpreta le stesse parole chiave di cui sopra come elementi di una domanda e, come in vero oracolo, si cimenta nell'elaborazione della risposta: è il software stesso che si immerge nello scibile e riporta in superficie la risposta elaborata al quesito - il paradigma del palombaro. E se questa informazione o conoscenza - ammesso che sia disponibile ed accessibile - non esiste tuttavia in forma esplicita online, Alpha cerca di calcolarla sulla base dei dati e degli algoritmi esistenti.
Esempi (tratti dal video disponibile sopra). Inserite una stringa di basi azotate, come ATCTGTCCTAACT. Google vi fornisce link a database di genetica, a pagine di chimica organica e simili. Con la stessa velocità, Alpha probabilmente vi dice in quale parte del genoma (umano o no) si trova quella esatta sequenza di basi. Per fare ciò, Alpha entra nei database ma non si limita a portare il database alla disponibilità dell'utente: ci lavora sopra. Inserite "Everest / Monte Bianco". Google vi manda a pagine del National Geographic, a immagini di queste vette innevate e via dicendo. Alpha risponde: meno di 2! Perchè interpreta l'input come una domanda, che molto probabilmente riguarderà il rapporto tra le dimensioni dei due oggetti, che sa essere in particolare dei monti, di cui può conoscere i dati accedendo ai database. Inserite "prossima eclissi Roma". Google vi rimanda a tavole di eclissi, siti di astronomia, foto di Roma eccetera. Alpha invece accede ai database con le posizioni planetarie, applica le equazioni della meccanica celeste e interpreta i risultati dal punto di vista di Roma, fornendo come risultato la data della prossima eclissi visibile da Roma: una conoscenza che, se non già esplicitamente calcolata, non si troverebbe online. Inserite "re minore". Google vi manda a molte pagine, sia di musica che di società reali. Alpha quantomento vi fa ascoltare la scala di re minore. E cose simili si potranno avere per finanza, biografie, cucina, materiali, matematica, scienza ed altro ancora.

In sostanza, quello che Alpha ci sta per proporre - valuteremo ovviamente in che modo e fino a che punto - è la automatizzazione dell'elaborazione della conoscenza, oltre che della sua acquisizione. Ecco la nuova frontiera dell'erosione. Nelle parole di Wolfram, Alpha vuole comportarsi come un esperto in ogni campo dello scibile: un onnisciente a portata di click, semplice da consultare ed alla portata di tutti in quanto non richiedente esperienza pregressa negli stessi campi di indagine. Un passo avanti verso l'onniscienza globale.
Si intuisce a questo punto la portata del progretto intrapreso da Wolfram - destinato a svilupparsi, come avviene per Mathematica da 23 anni, nel tempo. Un progetto tanto ambizioso che anche il suo ideatore dubitò della sua fattibilità per lungo tempo, per rimanere finalmente sorpreso della sua attuabilità.
Alpha si fonda su milioni di righe di codice Mathematica. Per la sua realizzazione, il team interdisciplinare di oltre 100 ricercatori ha dovuto affrontare 4 problemi principali dal punto di vista dell'automatizzazione: 1) Acquisizione e purificazione dei dati (verifica delle fonti, confronti incrociati, analisi e pulizia); 2) calcolo sulle strutture dati acquisite; 3) interpretazione e comprensione del linguaggio naturale (in cui vengono forniti gli input al programma); 4) presentatione algoritmica dei risultati. In particolare, il terzo punto sembra essersi dimostrato meno problematico del previsto (c'era timore per l'ambiguità intrinseca del linguaggio naturale), a differenza del quarto - perchè Alpha vuole presentare diagrammi, grafici, correlazioni in maniera automatica e facilmente fruibile dall'utente. In più, quando sarà operativo Alpha funzionerà su decine di migliaia di processori, utilizzando le ultime conquiste del calcolo parallelo.
E' anche possibile che quanto ci è noto finora sia solo una parte delle prestazioni e delle potenzialità del software. Le sue ambizioni potrebbero essere ben superiori, se a questo si aggiungesse la capacità di apprendere e di evolversi autonomamente. Alpha potrebbe aiutare persino a generare - o quantomeno dedurre e disvelare - nuova conoscenza.
I motori computazionali di conoscenza sono l'ultima frontiera nel rendere la conoscenza accessibile, disponibile, fruibile - e soprattutto, abbondante. Verso la realizzazione di un grande cervello collettivo e distribuito in grado di gestire le conquiste della civiltà.

Quindi, cosa rimarrà di precipuo all'uomo?
Viene da pensare che accumulare conoscenza - ciò che un tempo rendeva le persone erudite, dotte e per questo degne di considerazione e rispetto nella società, a fronte di un impegno personale nello studio sostanziale - sarà presto considerato non l'eccezione, bensì la regola. Ci saranno sempre meno scuse per rimanere ignoranti, se non per diventare esperti. Lo sforzo della ricerca e della conquista della conoscenza potrebbero impallidire. Non ci si distinguerà più soprattutto per quantità di conoscenze assimilate, bensì per il modo in cui saranno utilizzate. Ammesso che l'accesso alla rete diventi altrettando diffuso e disponibile a tutti - il problema dell'accesso rimarrà, se non si acuirà addirittura. Si dovranno inventare nuove tipologie e modalità di individualità - prima che l'idea stessa di individualità arrivi a scomparire.
Rimarrà intatta, se non aumentata, l'importanza della curiosità, ovvero della spinta endogena a cercare, ad informarsi, e del ragionamento critico e indipendente, cioè della ricerca del vero, della ripetizione, conferma o confutazione del conosciuto, dell'esplorazione personale. E la creatività resterà una capacità insopprimibile, un momento inalienabile di esperienza, di sintesi innovativa, di espressione, arricchimento, superamento e definizione personale. E più in generale, si esaltetà la crucialità della volontà, della capacità di imporre direzionalità all'azione, di determinare la traiettoria dei movimenti, di segnare il tracciato dei percorsi fisici ed intellettuali nel mare magnum dell'abbondanza di informazione e conoscenza, in sè priva di intrinseco orientamento.
E rimarranno gli umanissimi sentimenti.

Fare predizioni è tuttavia difficile - specialmente del futuro. E forse tutto ciò è soltanto l'ennesima utopia destinata a fallire.
Fino al prossimo progresso dell'erosione.


Correlati o connessi
1 - Backstage del lancio di W|A
2 - Giorgio bocca esprime compiutamente - per dirla nei termini Baricco - il punto di vista della vecchia "civilta'" nei confronti della "barbarie" rappresentata dalle macchine intelligenti.

martedì 14 aprile 2009

Dialogo dei Massimi




Estratti da un carteggio tra me e Massimo Fornicoli a proposito di un recente intervento di quest'ultimo sulle pagine del Puzzoloso.

(Legenda: MM = Massimo Mastrangeli; MF = Massimo Fornicoli)

MM: Caro Massimo, mi permetto di aggiungere qualche commento personale al tuo ultimo - sinceramente mal formulato e mal scritto (a prescindere dal contenuto) - intervento sul Puzzoloso, convinto che tu sappia apprezzare i valori del dialogo e della dialettica.

MF: Hai ragione, ma non scrivendo sulla pagina culturale del Sole24ore e pensando che l’immediatezza debba avere un valore nel dialogo, come accade nel parlato si può essere poco chiari più che allo scritto.

MM: Tu scrivi:

“(…) un ateo vuole pianificare comunque, ammettendo di sapere solo e soltanto lui quale sia la realtà da osservare e osservabile. Scusate se non è fideistico tutto ciò!”

Oltre a essere una visione molto personale dell’ateo, questo è fuorviante. Ateo è soltanto una persona che non crede a – non ha fede in, nelle tue parole - dio. Non vedo la connessione con il resto della frase; a meno che tu non stia confondendo ateo con empirista, che pur in relazione (il primo è un sottoinsieme del secondo) non coincidono sempre.

MF: Ogni nostra visione è sempre personale, non accetto fuorviante perché è un mio pensiero e non pretendente di condurre nessuno solo di porre un'ulteriore domanda. Un ateo per me è chi basa tutta la sua realtà percepita su fatti concreti non oppugnabili, poiché così li crede lui. A dire il vero anche il mondo dei sentimenti dovrebbe essergli precluso, poiché sappiamo quanto la proiezione si inserisca nella “costruzione delle nostre realtà” aggiungendo altre realtà estranee al vissuto reale del momento.

MM: Ok, confermi che tu chiami ateo quello che io chiamerei empirista. Chiarire l'uso dei termini è fondamentale, visto che la comunicazione verbale o scritta è un gioco, come avrebbe detto Wittgenstein, di cui si devono prima fissare le regole.

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MM: Ma soprattutto, stai confondendo la definizione di ateo con quella di persona senza fede (che nella tua visione ha comunque un atteggiamento “fideistico”), e in questa massimalizzazione stai sottintendendo ovviamente per fede quella religiosa (nel senso comune, non in quello etimologico di disciplina personale), quale essa sia. Questo, oltre ad essere quantomeno superficiale e stereotipizzante, significa anche che stai assumendo che la fede sia una prerogativa soltanto della religione (e da dove questo assunto possa derivare l’ho già accennato in un precedente intervento sul Puzzoloso). Ciò è per me nettamente sbagliato. Anche un ateo quando si sveglia e si alza dal letto ha fede di trovare il pavimento della sua stanza sotto i suoi piedi, le pantofole dove le ha lasciate, e così via. Salvo poi eventualmente accorgersi che il suo palazzo è crollato.

MF: Non credo proprio che sia prerogativa di una religione, semmai stavo affermando, non riuscendoci per niente, proprio il contrario, che tutti noi siamo preda, in ogni attimo, di atti di fede, un esempio banale vissuto da tutti è il vedere il mondo diritto quando alla nostra retina giunge rovesciato, solo perché corretto da una serie di meccanismi fisiologici. Mi piace qui citare un pensiero del biologo J. Rostand : “ L’incredulità proprio come la fede ha le sue profondità; l’una e l’altra nelle loro forme estreme comportano rischi e vertigini. Il dubbio in fin dei conti è un atto non meno religioso di una preghiera”.

MM: Siamo d'accordo sulla prima parte. Ma che il dubbio sia in fin dei conti un atto religioso mi pare un pensiero vacuo, se non errato, a meno che non si intenda religione nel senso di disciplina personale.

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MM: Più avanti scrivi:

“(…) mi tengo lontano dal salto fideistico che fanno gli scienziati, poiché riguardante la materia non lo spirito, soprattutto per descrivere il campo subatomico per fare un esempio.”

Se c’è una cosa su cui gli scienziati hanno fede è la ragione, che applicano possibilmente a tutti gli aspetti della realtà. Concordo con te che la scienza non è l’unica fonte di conoscenza e sapere possibile e ammissibile, ma non per questo va delegittimato chi la persegue (peraltro, entri in leggera contraddizione con questa posizione sugli scienziati più avanti, quando dici che la filosofia è valida anche e soprattutto quando sostenuta dalla fisica). La scienza, almeno idealmente, è ricerca della verità secondo canoni razionali.

MF: Sappiamo come proprio quando si sono abbandonati i suddetti canoni sono avvenute delle scoperte, contraddicendo spesso i protocolli così finemente stilati, inseguite dalla ragione per secoli e deposte le “armi di attacco razionale” lasciando spazio all’intuizione talvolta paragonabile ad una vera e propria illuminazione religiosa.

MM: Sono convinto che sia così, ed anzi personalmente sono molto eterodosso e finisco spesso per andare a cercare ispirazione anche "nella spazzatura", come direbbe un mio amico casertano. A me piace il concetto di anarchia metodologica (se non epistemologica) avanzato da Feyerabend, sebbene la scienza ortodossa ne abbia sostanzialmente paura. Ma penso anche che la situazione sia più complicata di così.
Che si debba lasciare spazio all'intuizione come sorgente di comprensione, sintesi e ispirazione è importante. Altrettanto importante è riconoscere la priorità del fatto sulla teoria. Ma, detto questo, si ha anche che: 1) risultati sperimentali eventualmente evidenziati diventano fatti acquisiti, di cui in seguito bisogna trovare spiegazione, solo se ripetuti secondo procedure rigorose (razionali) che ne garantiscano la consistenza e significatività statistica. (Confronta questo con un pensiero di Nietzsche, secondo cui l'intuizione è prioritaria sulla spiegazione razionale, che in qualche modo è una rivisitazione posticcia (mortifera, secondo lui) della prima). 2) L'intuizione spesso (non sempre, ovviamente) è solo il culmine di un lungo lavoro, precedente e preparatorio, di analisi razionale metodica, senza la quale la sintesi illuminante che, almeno in questi casi, chiamiamo intuizione non ci sarebbe.
Inoltre, anche appurato ciò, la scienza reale (non ideale) è un edificio sociale e conservatore (devoto alla sua autopreservazione), che talvolta somiglia a una setta dogmatica di iniziati e usa armi dell'inquisizione di cristiana memoria. Potrei citare i casi di Fleischmann nel caso della "fusione fredda" e di Benveniste per la "memoria dell'acqua". Il primo pubblicò (purtroppo con una conferenza stampa prima che su giornali scientifici) i suoi "scandalosi" risultati dopo 5 anni di esperimenti sul caricamento di palladio con deuterio; eppure alla scienza ortodossa bastò un mese e qualche risultato negativo (preferito ad altri coevi e positivi) per decretare che era una bufala e diffondere questo giudizio mediaticamente ("... e tutti seguirono come pecore", per usare l'espressione di Josephson, premio Nobel per la fisica, famoso eterodosso). Benveniste subì una censura e gogna anche peggiore (ci sono di mezzo in entrambi i casi Science e Nature, le riviste scientifiche generaliste più "autorevoli"), aggravata dall'umiliazione di veder sconfessati anni di prove e migliaia di test sulle alte diluizioni acquose attivanti reazioni di granulazione dei basofili da 5 giorni di test, condotti in condizioni quantomeno discutibili, da un illusionista e un cacciatore di frodi senza alcuna esperienza in biologia (altri laboratori riprodussero, già allora, i risultati di Benveniste, ma non furono presi in considerazione). Ciononostante, entrambi proseguirono le loro ricerche, e spero che il tempo gli darà ragione (le prove della verità della "fusione fredda" ci sono da anni; e Benveniste arrivò, prima della sua morte, a dimostrare un concetto straordinario, cioè che l'interazione tra molecole e substrati biologici, cioè l'informazione scambiata tra loro, è di natura elettromagnetica e non meccanica ("chiave e toppa"), tanto che lui alla fine registrava questi segnali con un computer, li trasmetteva via cavo (da Parigi a Chicago, per esempio) e la reazione di attivazione avveniva all'altro lato del ricevitore).

Nello specifico poi, non vedo dove sia il salto fideistico nell’esplorare il mondo atomico – una posizione dal forte sapore positivista e censorio – soprattutto oggi che si è in grado di osservare facilmente singoli atomi e fenomeni della durata di un miliardesimo di miliardesimo di secondo (vedi attofisica). E la neurologia sta investigando la tua amata mente, con risultati interessanti e sorprendenti.

MF: Il salto avviene quando si pone estrema fiducia in un’ipotesi, in un’attesa fiduciosa che il tale "evento" avvenga proprio per tali ragioni fisico-matematiche ecc… Si lascia per così dire il terreno del più o meno conosciuto per spingersi in uno parzialmente sconosciuto, del tutto ipotizzato o solo ipotizzabile. Se volessimo includere l’arte medica nella scienza pare che sia proprio questa la ragione per cui i ricercatori ritardano la soluzione dei meccanismi dell'insorgenza del cancro. “Ed è meglio prendere Nietzsche non per le risposte che dà, ma per le domande che pone. Primo: dopo che la storia ci ha insegnato che spesso il possesso della Verità produce fanatismo, e che un individuo armato di verità è un potenziale terrorista, vien fatto di chiedere: il relativismo e il nichilismo sono davvero quel male radicale che si vuol far credere? O essi non producono forse anche la consapevolezza della relatività di ogni punto di vista, quindi anche di ogni religione? E allora non veicolano forse il rispetto del punto di vista dell'altro e dunque il valore fondamentale della tolleranza? C' è del bello anche nel relativismo e nel nichilismo: inibiscono il fanatismo.” (F. Volpi)

MM: Se non ci spingessimo nell'ignoto, non ci sarebbe progresso alcuno. Dunque mi pare una cosa salutare e benvenuta. Ribadisco la priorità del fatto sulla teoria, ovvero sulle aspettative sulle manifestazioni del fatto che si possono derivare dalle conoscenze acquisite; ma capisco che questo non viene sempre rispettato, specie quando ciò possa contrastare con altri interessi.
Tu forse discuti la maniera in cui questa apertura all'ignoto debba essere condotta. Forse vuoi una apertura totale all'esperienza (sia interiore che esteriore, suppongo). Sono d'accordo, se non che la cosa non è banale. La natura risponde solo se interrogata, e le domande devono essere strutturate e specifiche. Inoltre l'interrogazione avviene attraverso mezzi tecnologici o entro prospettive mentali comunque contingenti e limitati, che sono a loro volta derivati dalla conoscenza acquisita fino al momento dell'esperimento. Questo circolo apparentemente vizioso in realtà si dimostra virtuoso a lungo andare, pur di ammettere che è in costante sviluppo e progresso, non certo definitivo.
Più in generale, penso che tu ti stia concentrando soltanto sul lato riduzionistico (destruens) della scienza, quello che va per la maggiore dal tempo della affermazione stessa della scienza ma che oggi una quantità crescente di scienziati sta mettendo in discussione, pur tra le critiche spesso pesanti e dogmatiche delle vecchie generazioni. Il riduzionismo è di fondamentale importanza per conoscere le componenti della realtà, ma ad esso deve seguire un approccio olistico (parola ora molto abusata, peraltro) che sappia ricostruire le dinamiche di interazione tra i componenti che chiamiamo realtà.
La scienza è ancora un lavoro in corso, che peraltro ha sempre messo alla prova le capacità di contemplazione e immaginazione dei ricercatori (per esempio, i matematici sono abituati a vivere in spazi con un numero arbitrario di dimensioni, la meccanica quantistica permette il teletrasporto di informazione tra particelle distanti, ed addirittura sembra che l’interpretazione più coerente della meccanica quantistica implichi l’esistenza di una miriade di universi affiancati al nostro).
E la scienza (idealmente, ancora una volta) è ben lontana da avere certezze definitive su tutto. Proprio come te.

MF: Sono d’accordo in questo ultimo tuo passaggio. Scienza come “work in progress”, si dice così no.

sabato 4 aprile 2009

Indifferenza per sopravvivere


Perché la reazione della maggior parte della popolazione italiana di fronte alla progressiva, deplorevole decadenza legale ed etica del paese è l’indifferenza?
Le cause di questo comportamento, apparentemente incredibile per chi l’osservasse dall’esterno, possono essere molteplici. Ve ne suggerisco alcune, tutte veicolate o amplificate dai mass-media:
1) E’ crollata la fiducia nella giustizia da quando si è, di fatto, messa in dubbio la certezza della pena da corrispondere a moltissimi reati, anche assai gravi. Questo è avvenuto a causa delle leggi ad personam, la corruzione, la lentezza della macchina burocratica, la lunghezza dei processi esasperante che porta alla prescrizione dei reati, ed altro ancora. Talvolta i responsabili ricevono addirittura forme di premio per i loro comportamenti (vedi, e.g., i parlamentari condannati).
2) Gli esempi di rettitudine persistenti - che sono ancora numerosi, fortunatamente - spesso non sono tuttavia presentati come tali (e.g. la delegittimazione e diffamazione dei magistrati, la scarsa attenzione dedicata ai risultati dei processi quando questi arridono alle parti apparentemente deboli).
3) La priorità data alle numerosissime notizie (anche solo presunte tali) di cronaca nera, e l’indurre ad equiparare, nella percezione comune, (mis)fatti locali con quelli accaduti in altre nazioni, sono tali da far sentire la popolazione accerchiata dal crimine - anche laddove in effetti non lo è - e dunque da ingenerare in essa una reazione di difesa e resistenza ai fatti, piuttosto che di condanna, reazione e combattimento. Immaginatevi, per contrasto, il caso in cui fosse la criminalità a doversi sentire accerchiata dagli incensurati (come accade in alcune culture, e.g. in Giappone). Ovvero, è la criminalità che ha raggiunto la massa critica, non l’osservanza delle leggi. E’ la criminalità ad apparire invincibile, non il buon esempio a dimostrarsi inarrestabilmente contagioso.
Questo assetto - in particolare, la sensazione indotta di impotenza effettiva di fronte agli eventi quotidiani - porterebbe la popolazione a sostenere un estenuante condizione di dissonanza cognitiva. Di conseguenza, dove può la gente opta piuttosto per la fuga. Si sfugge con l’indifferenza, il disinteresse, o immergendosi nel disimpegno e nella deresponsabilizzazione - che sono al contempo incentivati anche da altri interessi e pressioni.
Queste, oggi, da noi, sono tecniche di sopravvivenza.

Del valore politico del battesimo


E' di pochi giorni fa l'ultima difesa ufficiale (legittima, nella forma) del Vaticano contro le accuse (legittime, e fondate) rivolte da molte nazioni europee - in linea con le raccomandazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità e con ricerche pubblicate su autorevoli riviste mediche, ultima "Lancet" - contro le esternazioni del papa Benedetto XVI a proposito dell'uso dei profilattici nella lotta all'AIDS.
In particolare, i rappresentanti del Vaticano hanno precisato che non possono tollerare che venga criticata una figura che rappresenta più di un miliardo di persone.

Ci sono almeno due grossi errori in affermazioni di questo genere:
1) l'ampiezza del sostegno popolare non può rendere conto del valore di verità di una affermazione, specialmente quando questa deve invece basarsi su fatti sperimentali.
2) come si fa a presumere di saper calcolare l'ampiezza di tale sostegno popolare? Senza dati alla mano, si tratta di assunzioni vacue e propagandistiche.

Qui interviene il valore politico del battesimo.
Riporto una parte di un mio recente intervento a proposito:

La spiritualità non è prerogativa delle religioni. Per coltivare valori di carattere spirituale, o sviluppare un’etica positiva ispirata al bene comune, non è necessario, e del resto neanche sufficiente, aderire ad una religione. Lo dimostrano da un lato le fenomenologie e le storie delle religioni, dall’altro molte filosofie. Aderire ad una religione è soltanto un diritto di ogni uomo, non certo un suo dovere o una sua prerogativa imprescindibile. (Per di più, tutte le religioni che vanno per la maggiore, ovvero le monoteistiche, si fondano sulla soggezione degli aderenti a dogmi preconfezionati, che stanno in totale antitesi con l’induzione al dubbio metodologico e con l’emancipazione perpetua dai pregiudizi sostenuta dalla filosofia e scienza contemporanea. Anche per questo le religioni sono, letteralmente, delle superstizioni di epoche barbariche.)
La legislazione italiana recepisce questi basilari quanto facilmente trascurati concetti nel considerare la religione di un cittadino un suo dato sensibile, ovvero una informazione personale che il cittadino non è costretto a dichiarare (al pari, per esempio, del suo orientamento sessuale) neanche nei censimenti statali.
Dunque, come fa la chiesa cattolica a farsi forza di rappresentare, a suo dire, la stragrande maggioranza della popolazione italiana? Attraverso il conteggio degli iscritti, ovvero del numero dei cittadini battezzati. Per questo, formalmente, nulla vale che una persona non si consideri cattolica, finché risulta iscritta all’albo dei cattolici. E ciò è importante, perché è in definitiva su questo albo che le gerarchie ecclesiastiche si arrogano la pretesa di rappresentare le credenze e l’opinione della nostra popolazione su molteplici questioni, anche molto delicate e su cui non dovrebbe avere autorità (per esempio bioetica e tecnologia). Il che equivale a dire che le opinioni che la chiesa cattolica fabbrica a suo arbitrio vengono automaticamente assunte come espressione del punto di vista della presunta massa popolare che essa si fa forza di rappresentare e/o influenzare, a prescindere che questa le condivida o meno. Non stupisce dunque che la politica, che del consenso popolare vive – perlomeno in una nazione in cui la democrazia è vigorosa e vigile – possa essere sensibile alla pretese delle gerarchie religiose. Ma la situazione italiana è negativamente speciale, in quanto la nostra classe politica ha da sempre dimostrato, quando non ostentato, una trasversale e docile dipendenza dal parere cattolico e una collusione con il suo potere e orientamento (dai famigerati Patti Lateranensi al Concordato dell’84, dalla polarizzazione del referendum sulla procreazione assistita alla legislazione sulle cellule staminali, alla caduta del secondo governo Prodi per via del dissenso interno alla risicata maggioranza sui diritti delle coppie di fatto, dal favoreggiamento fiscale delle attività e proprietà cattoliche alla devoluzione di gran parte dell’8 per mille alla stessa chiesa).
Bonificare le statistiche degli iscritti alla chiesa cattolica assume dunque, particolarmente in Italia, un valore anche politico. Questa bonifica si può fare sbattezzandosi: è facile, non costa praticamente nulla ed è altamente significativa. E’ il mezzo con cui si può definitivamente allineare il proprio personale pensiero con il formale status religioso. Ed è il primo importante passo verso l’emancipazione delle (reti neurali delle) future generazioni dal nefasto e traumatico plagio operato dalla religione (cattolica, nel nostro caso) che tuttora tutti subiamo inevitabilmente sin dalla nascita.
Infatti, probabilmente i concetti di dio e annessi (r)esistono soltanto perché fin dalla nascita veniamo informati e mai smentiti di essi (e addirittura ci viene insegnato a trattarli con timore, come si addice ad ogni strategia di controllo di massa). Così nel nostro spazio mentale si fa spazio ad essi nostro malgrado, e crescendo è difficile, pur volendo, sbarazzarsi di queste imbarazzanti presenze. Le nostre idee a riguardo sono sbilanciate in partenza. Solo nascendo e crescendo in un ambiente non contaminato dalle religioni sarebbe sensato speculare sull’innatezza del sentimento religioso.


(originalmente pubblicato dal Puzzoloso).

Prologo


Ho deciso di aprire questo blog per condividere pensieri e provocare riflessioni.
Questo è, per la verità, anche il secondo scopo del mio blog gemello , il primo essendo quello di farmi, e far, ridere.
Avrei certamente potuto utilizzare quello stesso mio primo blog per pubblicare gli scritti che troverete qui di seguito; ma in ultima analisi ho preferito separare la satira, che fonda e riempe le News of the Day, dal tipo di ragionamenti più articolati e argomentati che voglio proporre in questo nuovo spazio. Li considero semplicemente due approcci complementari allo stesso intento, che è l'espressione considerazioni personali sulla realtà che mi circonda. Dunque, mentre di la' troverete la tipica, alta concentrazione di vetriolo e sarcasmo - da rimuginare dopo lo shock dell'impatto - frutto di lungo lavoro di distillazione e levigazione, qui potrete osservare architetture intellettuali più classiche ma non meno eterodosse e meditate. E sempre gratuite.
Mi auguro che troverete la lettura edificante. Altrimenti, potete sempre andare al blog successivo - ci sono pornazzi fantasmagorici!