martedì 14 aprile 2009

Dialogo dei Massimi




Estratti da un carteggio tra me e Massimo Fornicoli a proposito di un recente intervento di quest'ultimo sulle pagine del Puzzoloso.

(Legenda: MM = Massimo Mastrangeli; MF = Massimo Fornicoli)

MM: Caro Massimo, mi permetto di aggiungere qualche commento personale al tuo ultimo - sinceramente mal formulato e mal scritto (a prescindere dal contenuto) - intervento sul Puzzoloso, convinto che tu sappia apprezzare i valori del dialogo e della dialettica.

MF: Hai ragione, ma non scrivendo sulla pagina culturale del Sole24ore e pensando che l’immediatezza debba avere un valore nel dialogo, come accade nel parlato si può essere poco chiari più che allo scritto.

MM: Tu scrivi:

“(…) un ateo vuole pianificare comunque, ammettendo di sapere solo e soltanto lui quale sia la realtà da osservare e osservabile. Scusate se non è fideistico tutto ciò!”

Oltre a essere una visione molto personale dell’ateo, questo è fuorviante. Ateo è soltanto una persona che non crede a – non ha fede in, nelle tue parole - dio. Non vedo la connessione con il resto della frase; a meno che tu non stia confondendo ateo con empirista, che pur in relazione (il primo è un sottoinsieme del secondo) non coincidono sempre.

MF: Ogni nostra visione è sempre personale, non accetto fuorviante perché è un mio pensiero e non pretendente di condurre nessuno solo di porre un'ulteriore domanda. Un ateo per me è chi basa tutta la sua realtà percepita su fatti concreti non oppugnabili, poiché così li crede lui. A dire il vero anche il mondo dei sentimenti dovrebbe essergli precluso, poiché sappiamo quanto la proiezione si inserisca nella “costruzione delle nostre realtà” aggiungendo altre realtà estranee al vissuto reale del momento.

MM: Ok, confermi che tu chiami ateo quello che io chiamerei empirista. Chiarire l'uso dei termini è fondamentale, visto che la comunicazione verbale o scritta è un gioco, come avrebbe detto Wittgenstein, di cui si devono prima fissare le regole.

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MM: Ma soprattutto, stai confondendo la definizione di ateo con quella di persona senza fede (che nella tua visione ha comunque un atteggiamento “fideistico”), e in questa massimalizzazione stai sottintendendo ovviamente per fede quella religiosa (nel senso comune, non in quello etimologico di disciplina personale), quale essa sia. Questo, oltre ad essere quantomeno superficiale e stereotipizzante, significa anche che stai assumendo che la fede sia una prerogativa soltanto della religione (e da dove questo assunto possa derivare l’ho già accennato in un precedente intervento sul Puzzoloso). Ciò è per me nettamente sbagliato. Anche un ateo quando si sveglia e si alza dal letto ha fede di trovare il pavimento della sua stanza sotto i suoi piedi, le pantofole dove le ha lasciate, e così via. Salvo poi eventualmente accorgersi che il suo palazzo è crollato.

MF: Non credo proprio che sia prerogativa di una religione, semmai stavo affermando, non riuscendoci per niente, proprio il contrario, che tutti noi siamo preda, in ogni attimo, di atti di fede, un esempio banale vissuto da tutti è il vedere il mondo diritto quando alla nostra retina giunge rovesciato, solo perché corretto da una serie di meccanismi fisiologici. Mi piace qui citare un pensiero del biologo J. Rostand : “ L’incredulità proprio come la fede ha le sue profondità; l’una e l’altra nelle loro forme estreme comportano rischi e vertigini. Il dubbio in fin dei conti è un atto non meno religioso di una preghiera”.

MM: Siamo d'accordo sulla prima parte. Ma che il dubbio sia in fin dei conti un atto religioso mi pare un pensiero vacuo, se non errato, a meno che non si intenda religione nel senso di disciplina personale.

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MM: Più avanti scrivi:

“(…) mi tengo lontano dal salto fideistico che fanno gli scienziati, poiché riguardante la materia non lo spirito, soprattutto per descrivere il campo subatomico per fare un esempio.”

Se c’è una cosa su cui gli scienziati hanno fede è la ragione, che applicano possibilmente a tutti gli aspetti della realtà. Concordo con te che la scienza non è l’unica fonte di conoscenza e sapere possibile e ammissibile, ma non per questo va delegittimato chi la persegue (peraltro, entri in leggera contraddizione con questa posizione sugli scienziati più avanti, quando dici che la filosofia è valida anche e soprattutto quando sostenuta dalla fisica). La scienza, almeno idealmente, è ricerca della verità secondo canoni razionali.

MF: Sappiamo come proprio quando si sono abbandonati i suddetti canoni sono avvenute delle scoperte, contraddicendo spesso i protocolli così finemente stilati, inseguite dalla ragione per secoli e deposte le “armi di attacco razionale” lasciando spazio all’intuizione talvolta paragonabile ad una vera e propria illuminazione religiosa.

MM: Sono convinto che sia così, ed anzi personalmente sono molto eterodosso e finisco spesso per andare a cercare ispirazione anche "nella spazzatura", come direbbe un mio amico casertano. A me piace il concetto di anarchia metodologica (se non epistemologica) avanzato da Feyerabend, sebbene la scienza ortodossa ne abbia sostanzialmente paura. Ma penso anche che la situazione sia più complicata di così.
Che si debba lasciare spazio all'intuizione come sorgente di comprensione, sintesi e ispirazione è importante. Altrettanto importante è riconoscere la priorità del fatto sulla teoria. Ma, detto questo, si ha anche che: 1) risultati sperimentali eventualmente evidenziati diventano fatti acquisiti, di cui in seguito bisogna trovare spiegazione, solo se ripetuti secondo procedure rigorose (razionali) che ne garantiscano la consistenza e significatività statistica. (Confronta questo con un pensiero di Nietzsche, secondo cui l'intuizione è prioritaria sulla spiegazione razionale, che in qualche modo è una rivisitazione posticcia (mortifera, secondo lui) della prima). 2) L'intuizione spesso (non sempre, ovviamente) è solo il culmine di un lungo lavoro, precedente e preparatorio, di analisi razionale metodica, senza la quale la sintesi illuminante che, almeno in questi casi, chiamiamo intuizione non ci sarebbe.
Inoltre, anche appurato ciò, la scienza reale (non ideale) è un edificio sociale e conservatore (devoto alla sua autopreservazione), che talvolta somiglia a una setta dogmatica di iniziati e usa armi dell'inquisizione di cristiana memoria. Potrei citare i casi di Fleischmann nel caso della "fusione fredda" e di Benveniste per la "memoria dell'acqua". Il primo pubblicò (purtroppo con una conferenza stampa prima che su giornali scientifici) i suoi "scandalosi" risultati dopo 5 anni di esperimenti sul caricamento di palladio con deuterio; eppure alla scienza ortodossa bastò un mese e qualche risultato negativo (preferito ad altri coevi e positivi) per decretare che era una bufala e diffondere questo giudizio mediaticamente ("... e tutti seguirono come pecore", per usare l'espressione di Josephson, premio Nobel per la fisica, famoso eterodosso). Benveniste subì una censura e gogna anche peggiore (ci sono di mezzo in entrambi i casi Science e Nature, le riviste scientifiche generaliste più "autorevoli"), aggravata dall'umiliazione di veder sconfessati anni di prove e migliaia di test sulle alte diluizioni acquose attivanti reazioni di granulazione dei basofili da 5 giorni di test, condotti in condizioni quantomeno discutibili, da un illusionista e un cacciatore di frodi senza alcuna esperienza in biologia (altri laboratori riprodussero, già allora, i risultati di Benveniste, ma non furono presi in considerazione). Ciononostante, entrambi proseguirono le loro ricerche, e spero che il tempo gli darà ragione (le prove della verità della "fusione fredda" ci sono da anni; e Benveniste arrivò, prima della sua morte, a dimostrare un concetto straordinario, cioè che l'interazione tra molecole e substrati biologici, cioè l'informazione scambiata tra loro, è di natura elettromagnetica e non meccanica ("chiave e toppa"), tanto che lui alla fine registrava questi segnali con un computer, li trasmetteva via cavo (da Parigi a Chicago, per esempio) e la reazione di attivazione avveniva all'altro lato del ricevitore).

Nello specifico poi, non vedo dove sia il salto fideistico nell’esplorare il mondo atomico – una posizione dal forte sapore positivista e censorio – soprattutto oggi che si è in grado di osservare facilmente singoli atomi e fenomeni della durata di un miliardesimo di miliardesimo di secondo (vedi attofisica). E la neurologia sta investigando la tua amata mente, con risultati interessanti e sorprendenti.

MF: Il salto avviene quando si pone estrema fiducia in un’ipotesi, in un’attesa fiduciosa che il tale "evento" avvenga proprio per tali ragioni fisico-matematiche ecc… Si lascia per così dire il terreno del più o meno conosciuto per spingersi in uno parzialmente sconosciuto, del tutto ipotizzato o solo ipotizzabile. Se volessimo includere l’arte medica nella scienza pare che sia proprio questa la ragione per cui i ricercatori ritardano la soluzione dei meccanismi dell'insorgenza del cancro. “Ed è meglio prendere Nietzsche non per le risposte che dà, ma per le domande che pone. Primo: dopo che la storia ci ha insegnato che spesso il possesso della Verità produce fanatismo, e che un individuo armato di verità è un potenziale terrorista, vien fatto di chiedere: il relativismo e il nichilismo sono davvero quel male radicale che si vuol far credere? O essi non producono forse anche la consapevolezza della relatività di ogni punto di vista, quindi anche di ogni religione? E allora non veicolano forse il rispetto del punto di vista dell'altro e dunque il valore fondamentale della tolleranza? C' è del bello anche nel relativismo e nel nichilismo: inibiscono il fanatismo.” (F. Volpi)

MM: Se non ci spingessimo nell'ignoto, non ci sarebbe progresso alcuno. Dunque mi pare una cosa salutare e benvenuta. Ribadisco la priorità del fatto sulla teoria, ovvero sulle aspettative sulle manifestazioni del fatto che si possono derivare dalle conoscenze acquisite; ma capisco che questo non viene sempre rispettato, specie quando ciò possa contrastare con altri interessi.
Tu forse discuti la maniera in cui questa apertura all'ignoto debba essere condotta. Forse vuoi una apertura totale all'esperienza (sia interiore che esteriore, suppongo). Sono d'accordo, se non che la cosa non è banale. La natura risponde solo se interrogata, e le domande devono essere strutturate e specifiche. Inoltre l'interrogazione avviene attraverso mezzi tecnologici o entro prospettive mentali comunque contingenti e limitati, che sono a loro volta derivati dalla conoscenza acquisita fino al momento dell'esperimento. Questo circolo apparentemente vizioso in realtà si dimostra virtuoso a lungo andare, pur di ammettere che è in costante sviluppo e progresso, non certo definitivo.
Più in generale, penso che tu ti stia concentrando soltanto sul lato riduzionistico (destruens) della scienza, quello che va per la maggiore dal tempo della affermazione stessa della scienza ma che oggi una quantità crescente di scienziati sta mettendo in discussione, pur tra le critiche spesso pesanti e dogmatiche delle vecchie generazioni. Il riduzionismo è di fondamentale importanza per conoscere le componenti della realtà, ma ad esso deve seguire un approccio olistico (parola ora molto abusata, peraltro) che sappia ricostruire le dinamiche di interazione tra i componenti che chiamiamo realtà.
La scienza è ancora un lavoro in corso, che peraltro ha sempre messo alla prova le capacità di contemplazione e immaginazione dei ricercatori (per esempio, i matematici sono abituati a vivere in spazi con un numero arbitrario di dimensioni, la meccanica quantistica permette il teletrasporto di informazione tra particelle distanti, ed addirittura sembra che l’interpretazione più coerente della meccanica quantistica implichi l’esistenza di una miriade di universi affiancati al nostro).
E la scienza (idealmente, ancora una volta) è ben lontana da avere certezze definitive su tutto. Proprio come te.

MF: Sono d’accordo in questo ultimo tuo passaggio. Scienza come “work in progress”, si dice così no.

sabato 4 aprile 2009

Indifferenza per sopravvivere


Perché la reazione della maggior parte della popolazione italiana di fronte alla progressiva, deplorevole decadenza legale ed etica del paese è l’indifferenza?
Le cause di questo comportamento, apparentemente incredibile per chi l’osservasse dall’esterno, possono essere molteplici. Ve ne suggerisco alcune, tutte veicolate o amplificate dai mass-media:
1) E’ crollata la fiducia nella giustizia da quando si è, di fatto, messa in dubbio la certezza della pena da corrispondere a moltissimi reati, anche assai gravi. Questo è avvenuto a causa delle leggi ad personam, la corruzione, la lentezza della macchina burocratica, la lunghezza dei processi esasperante che porta alla prescrizione dei reati, ed altro ancora. Talvolta i responsabili ricevono addirittura forme di premio per i loro comportamenti (vedi, e.g., i parlamentari condannati).
2) Gli esempi di rettitudine persistenti - che sono ancora numerosi, fortunatamente - spesso non sono tuttavia presentati come tali (e.g. la delegittimazione e diffamazione dei magistrati, la scarsa attenzione dedicata ai risultati dei processi quando questi arridono alle parti apparentemente deboli).
3) La priorità data alle numerosissime notizie (anche solo presunte tali) di cronaca nera, e l’indurre ad equiparare, nella percezione comune, (mis)fatti locali con quelli accaduti in altre nazioni, sono tali da far sentire la popolazione accerchiata dal crimine - anche laddove in effetti non lo è - e dunque da ingenerare in essa una reazione di difesa e resistenza ai fatti, piuttosto che di condanna, reazione e combattimento. Immaginatevi, per contrasto, il caso in cui fosse la criminalità a doversi sentire accerchiata dagli incensurati (come accade in alcune culture, e.g. in Giappone). Ovvero, è la criminalità che ha raggiunto la massa critica, non l’osservanza delle leggi. E’ la criminalità ad apparire invincibile, non il buon esempio a dimostrarsi inarrestabilmente contagioso.
Questo assetto - in particolare, la sensazione indotta di impotenza effettiva di fronte agli eventi quotidiani - porterebbe la popolazione a sostenere un estenuante condizione di dissonanza cognitiva. Di conseguenza, dove può la gente opta piuttosto per la fuga. Si sfugge con l’indifferenza, il disinteresse, o immergendosi nel disimpegno e nella deresponsabilizzazione - che sono al contempo incentivati anche da altri interessi e pressioni.
Queste, oggi, da noi, sono tecniche di sopravvivenza.

Del valore politico del battesimo


E' di pochi giorni fa l'ultima difesa ufficiale (legittima, nella forma) del Vaticano contro le accuse (legittime, e fondate) rivolte da molte nazioni europee - in linea con le raccomandazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità e con ricerche pubblicate su autorevoli riviste mediche, ultima "Lancet" - contro le esternazioni del papa Benedetto XVI a proposito dell'uso dei profilattici nella lotta all'AIDS.
In particolare, i rappresentanti del Vaticano hanno precisato che non possono tollerare che venga criticata una figura che rappresenta più di un miliardo di persone.

Ci sono almeno due grossi errori in affermazioni di questo genere:
1) l'ampiezza del sostegno popolare non può rendere conto del valore di verità di una affermazione, specialmente quando questa deve invece basarsi su fatti sperimentali.
2) come si fa a presumere di saper calcolare l'ampiezza di tale sostegno popolare? Senza dati alla mano, si tratta di assunzioni vacue e propagandistiche.

Qui interviene il valore politico del battesimo.
Riporto una parte di un mio recente intervento a proposito:

La spiritualità non è prerogativa delle religioni. Per coltivare valori di carattere spirituale, o sviluppare un’etica positiva ispirata al bene comune, non è necessario, e del resto neanche sufficiente, aderire ad una religione. Lo dimostrano da un lato le fenomenologie e le storie delle religioni, dall’altro molte filosofie. Aderire ad una religione è soltanto un diritto di ogni uomo, non certo un suo dovere o una sua prerogativa imprescindibile. (Per di più, tutte le religioni che vanno per la maggiore, ovvero le monoteistiche, si fondano sulla soggezione degli aderenti a dogmi preconfezionati, che stanno in totale antitesi con l’induzione al dubbio metodologico e con l’emancipazione perpetua dai pregiudizi sostenuta dalla filosofia e scienza contemporanea. Anche per questo le religioni sono, letteralmente, delle superstizioni di epoche barbariche.)
La legislazione italiana recepisce questi basilari quanto facilmente trascurati concetti nel considerare la religione di un cittadino un suo dato sensibile, ovvero una informazione personale che il cittadino non è costretto a dichiarare (al pari, per esempio, del suo orientamento sessuale) neanche nei censimenti statali.
Dunque, come fa la chiesa cattolica a farsi forza di rappresentare, a suo dire, la stragrande maggioranza della popolazione italiana? Attraverso il conteggio degli iscritti, ovvero del numero dei cittadini battezzati. Per questo, formalmente, nulla vale che una persona non si consideri cattolica, finché risulta iscritta all’albo dei cattolici. E ciò è importante, perché è in definitiva su questo albo che le gerarchie ecclesiastiche si arrogano la pretesa di rappresentare le credenze e l’opinione della nostra popolazione su molteplici questioni, anche molto delicate e su cui non dovrebbe avere autorità (per esempio bioetica e tecnologia). Il che equivale a dire che le opinioni che la chiesa cattolica fabbrica a suo arbitrio vengono automaticamente assunte come espressione del punto di vista della presunta massa popolare che essa si fa forza di rappresentare e/o influenzare, a prescindere che questa le condivida o meno. Non stupisce dunque che la politica, che del consenso popolare vive – perlomeno in una nazione in cui la democrazia è vigorosa e vigile – possa essere sensibile alla pretese delle gerarchie religiose. Ma la situazione italiana è negativamente speciale, in quanto la nostra classe politica ha da sempre dimostrato, quando non ostentato, una trasversale e docile dipendenza dal parere cattolico e una collusione con il suo potere e orientamento (dai famigerati Patti Lateranensi al Concordato dell’84, dalla polarizzazione del referendum sulla procreazione assistita alla legislazione sulle cellule staminali, alla caduta del secondo governo Prodi per via del dissenso interno alla risicata maggioranza sui diritti delle coppie di fatto, dal favoreggiamento fiscale delle attività e proprietà cattoliche alla devoluzione di gran parte dell’8 per mille alla stessa chiesa).
Bonificare le statistiche degli iscritti alla chiesa cattolica assume dunque, particolarmente in Italia, un valore anche politico. Questa bonifica si può fare sbattezzandosi: è facile, non costa praticamente nulla ed è altamente significativa. E’ il mezzo con cui si può definitivamente allineare il proprio personale pensiero con il formale status religioso. Ed è il primo importante passo verso l’emancipazione delle (reti neurali delle) future generazioni dal nefasto e traumatico plagio operato dalla religione (cattolica, nel nostro caso) che tuttora tutti subiamo inevitabilmente sin dalla nascita.
Infatti, probabilmente i concetti di dio e annessi (r)esistono soltanto perché fin dalla nascita veniamo informati e mai smentiti di essi (e addirittura ci viene insegnato a trattarli con timore, come si addice ad ogni strategia di controllo di massa). Così nel nostro spazio mentale si fa spazio ad essi nostro malgrado, e crescendo è difficile, pur volendo, sbarazzarsi di queste imbarazzanti presenze. Le nostre idee a riguardo sono sbilanciate in partenza. Solo nascendo e crescendo in un ambiente non contaminato dalle religioni sarebbe sensato speculare sull’innatezza del sentimento religioso.


(originalmente pubblicato dal Puzzoloso).

Prologo


Ho deciso di aprire questo blog per condividere pensieri e provocare riflessioni.
Questo è, per la verità, anche il secondo scopo del mio blog gemello , il primo essendo quello di farmi, e far, ridere.
Avrei certamente potuto utilizzare quello stesso mio primo blog per pubblicare gli scritti che troverete qui di seguito; ma in ultima analisi ho preferito separare la satira, che fonda e riempe le News of the Day, dal tipo di ragionamenti più articolati e argomentati che voglio proporre in questo nuovo spazio. Li considero semplicemente due approcci complementari allo stesso intento, che è l'espressione considerazioni personali sulla realtà che mi circonda. Dunque, mentre di la' troverete la tipica, alta concentrazione di vetriolo e sarcasmo - da rimuginare dopo lo shock dell'impatto - frutto di lungo lavoro di distillazione e levigazione, qui potrete osservare architetture intellettuali più classiche ma non meno eterodosse e meditate. E sempre gratuite.
Mi auguro che troverete la lettura edificante. Altrimenti, potete sempre andare al blog successivo - ci sono pornazzi fantasmagorici!