domenica 26 dicembre 2010

Di comfort, multi-tasking e rituali

Questa tendenza diffusa all’integrazione di molteplici funzioni su piattaforme o dispositivi integrati ed indifferenziati sembra derivare da un imperativo del comfort e della minima azione.
Comunicazione e informazione istantanee, intrattenimento multimediale, voci enciclopediche e molto altro sono sempre tra loro più vicini su questi supporti digitali, letteralmente a distanza di pochi click uno dall’altro. Perchè è più facile, prende meno tempo e forse meno denaro, occupa meno spazio, e si può praticare più di una attività allo stesso tempo e nello stesso posto, se si vuole.
Tale tendenza alla commistione delle funzioni tende ad affermarsi, sebbene non esclusivamente, sulla base di un abbassamento della soglia di preparazione richiesta agli utenti per farne uso. E’ fuori discussione che l’astrazione tecnologica dalla fisica all’informatica passando necessariamente per la microelettronica sia un bene sostanziale. La conseguente semplificazione dell’utilizzo – o meglio, la sostituzione e mascheratura degli specifici dettagli di funzionamento a favore di regole ed interfacce di utilizzazione intuitive, addirittura attraenti ed appaganti - di complicatissimi dispositivi ingegneristici frutto di anni di ricerca e di sperimentazione è un risultato potentissimo della moderna tecnologia (e che culmina una tendenza iniziata dagli albori della civiltà) nella misura in cui, proprio in virtù di suddetto abbassamento di soglia, utenti non specializzati possono rapidamente impadronirsi di strumenti che amplificano la loro produttività, permettono di aggiorarsi ed interagire su molteplici fronti, e sostanzialmente essere onniscienti. Al contempo, tuttavia, tale riduzione dei prerequisiti di utilizzo può indurre l’amplificazione dei comportamenti di evasione, l’infiltrazione di dati non filtrati (e il conseguente rumore informativo), ed un impoverimento del valore attribuito e del rispetto dovuto a quelle stesse funzioni che si cercano.
Viene cioè da pensare che l’apparente semplicità, di accesso od operazionale, di una funzione ne riduca implicitamente l’importanza percepita; e che questo a sua volta si manifesti in una riduzione della qualità dei contenuti veicolati e del tempo dedicato alla loro elaborazione e fruizione. Per dirlo in immagini: se si potesse scrivere ancora soltanto con lo scalpello sulla pietra, o se si potesse suonare soltanto organi a canne azionati a mano, con ogni probabilità si penserebbe molto più a cosa scrivere prima di sprecare pietra, o a cosa suonare prima di sprecare fatica manuale.
Su questa tendenza barbarica, come suppongo la definirebbe Baricco, si installa quella della sostituzione di una o al limite poche attività solide e ben corroborate con una moltitudine di attività minime, sporadiche e che richiedano periodi brevi di attenzione e concentrazione – le altre vengono semplicemente procrastinate. Questa seconda tendenza è quindi sugellata dal e favorita nel multi-tasking con la summenzionata giustapposizione a portata di pollice di tutto l’armamentario di funzioni richiesto per colmare la vacuità di pensieri e contenuti lasciata dalle precedenti. Del resto, proprio quando una funzione o attività è divenuta sufficientemente piccola risulta immediato pensare di accorparne (essendo possibile) tante di questo tipo in uno stesso strumento, canale, luogo contenitore. Ecco allora lo stuolo integrato e portatile di messaggi istantanei, presunte notizie, divertimenti, geolocalizzazioni e digressioni multimediali, in cui il rischio di omogeneizzazione e indifferenziazione del significato, e di travaso della trivialità da una attività all’altra è grandemente accentuato, se possibile fino a diventarne l’effetto unico sotteso a lungo termine – assieme all’isolamento indotto dall’illusione della connessione globale illimitata. Quando poi tutto questo tende eventualmente a diventare la routine di funzionamento normale del cervello, le cose diventano serie e sostanziali.
Con il multi-tasking mentale si cerca di replicare quello dei computer, che mostrano all’utente di svolgere più compiti nello stesso istante mentre in realtà li svolgono in rapidissima sequenza, previo spezzettamento in frammenti operazionali che vengono eseguiti in maniera alternata. Tendo a credere che una mente umana che non sia schizofrenica non sia ancora attrezzata a fare lo stesso – ammesso e non concesso che ne valga la pena; vale a dire, non penso che la mente possa cambiare rapidamente e ripetutamente di contesto lungo una sequenza di attività sostanzialmente diverse tra loro – a meno, per l’appunto, di non indurre qualche forma di avvicinamento, identificazione o banalizzazione tra le stesse attività: travasamenti di contenuto o significato, indifferenziazione della priorità e dell’importanza, stesso contesto mentale per tutte le attività, trivializzazione delle stesse. Con abbondante condimento di stress, straniamento, indistinzione tra reale ed artefatto, potenziale perdita di controllo ed atrofizzazione della creatività.
E tutto questo ancora e sempre in nome della minima resistenza all’azione e del massimo comfort, che rimuovendo limitazioni ed agevolando ogni opzione aumentano contestualmente l’ansia di fronte alle scelte.
In qualche maniera, radio e televisione avevano già accelerato un trend di commistione dei contenuti al loro comparire, proiettando notizie, pubblicità, intrattenimenti, cultura ed altro ancora dallo stesso supporto. Un mélange che, seppure non spazialmente, era quantomeno temporalmente coordinato (almeno quando a questi strumenti si dedicava attenzione piena); a differenza dell’omnipresenza spaziale e temporale permessa da Internet e le sue pervasive appendici.
Certo, quelle menzionate rappresentano soltanto manifestazioni di una amplificazione tecnologica di tendenze ataviche che, azzarderei, vedono nella riduzione dei tempi di accesso alle e dell’energia di attivazione delle funzioni e degli strumenti un vantaggio evolutivo per la specie – risparmio di energie, minor tempo di reazione di fronte a cambiamenti repentini di contesto. Senonchè, tutto ciò arriva ad assomigliare ad un regime metabolico da battaglia perpetua anche oggi, cioè quando, volendo, se ne potrebbe avere molto meno bisogno.

Per invertire tendenza e riprendersi un pò di tempo per se stessi, suggerisco, quando ed ove possibile o non strettamente necessario, di ridurre l’accorpamento indiscriminato di funzionalità nello stesso supporto, organizzandole ad esempio per aree semantiche, od utilizzando computer, smartphones e simili supporti multimediali per un task alla volta.
E soprattutto, riscoprire il valore delle procedure e dei rituali – come la lettura delle istruzioni, l'ordinamento degli ambienti, gli spostamenti tra ambienti, la scrittura della recensione del libro appena letto, chiusura e riapertura degli strumenti di lavoro, et similia – intesi come sequenze ordinate di azioni preparatorie che permettono la focalizzazione sulla prossima attività da svolgere mentre consentono un cambiamento di contesto graduale e ragionato. Dal punto di vista barbarico, sono delle evidenti perdite di tempo. Si tratta invece di occasioni intercalate di meditazione, porzioni sistematiche di tempo preso per la cura di sè: rallentano i ritmi, migliorano l’efficienza delle performance, aumentano la propriocezione e la consapevolezza del momento.
Nell’invitare alla lenta rimuginazione ed a non evitare le vie difficili o dolorose alle cose, Nietzsche (tra gli altri) potrebbe aver già gettato un’ombra su tutto questo.

mercoledì 15 dicembre 2010

Collettività emergente


Il comportamento della società, in quanto sistema collettivo complesso, emerge in larga parte 1) dal comportamento degli individui che la compongono, 2) dalle loro interrelazioni, e 3) dalle condizioni al contorno del sistema, storiche ed ambientali.
In una società civile, comportamenti, relazioni e contorni sono regolati da apposite convenzioni, a loro volta maturate da esperienze pregresse al fine di consentire la sopravvivenza e, se possibile, il benessere della società. In una società civile, le forme di espressione dei comportamenti e delle relazioni personali sono dunque definite e vincolate, ma non limitate, da diritti e doveri. Come direbbe Freud, con una erosione del piacere personale si ottiene quantomeno la possibilità di convivenza pacifica.
Il comportamento individuale, entro questi solchi normativi, può liberamente ispirarsi a qualsiasi ideale, o muovere da cause di forza maggiore. Nelle interrelazioni, invece, la cultura propria della società può veicolare una grande quantità di conoscenze, ed esercitare forme indirette ma assai efficaci di auto-controllo. In particolare, i soggetti umani possono (sempre più, sempre prima e sempre meglio) aver accesso ad informazioni globali sul sistema, sia nel tempo che nello spazio, oltre a quelle locali - che sono invece la norma in altri sistemi collettivi. In questo modo, le interrelazioni influiscono sul comportamento globale della società in quanto determinano in maniera sostanziale la condotta degli individui - che appunto, sebbene solo nel migliore dei casi, tendono ad agire in base alla soggettiva elaborazione delle informazioni di cui dispongono. In altri termini, e particolarmente nella società umana, l’informazione è veicolata dai legami interpersonali e incide sul comportamento individuale; e gli individui tendono ad avere la sensazione di tenere sotto controllo informativo, e talvolta di poter influenzare, porzioni arbitrariamente grandi della società (che diventa piatta, come direbbe Friedman).
L’informazione è centrale nel sistema sociale. La sua origine e la sua distribuzione sono collegati a possibili problemi o difetti, come gli idola specus, tribus e fori di cui parlava già Francis Bacon; per non parlare di cosa accade quando l’informazione apparentemente ad personam, capillare ed esondante come quella attuale è persino manipolata e/o in mano a pochi controllori. Al contempo, l’informazione è il solo mezzo con cui gli individui possono avvertire, quando è il caso, di essere parte di un insieme di agenti consenzienti più esteso della loro singola personalità, e dunque potenzialmente capace di azioni e rivoluzioni sociali che trascendono la durata e i mezzi di una singola esistenza.
Quando questa possibilità di identificazione e rappresentanza viene meno, la società civile e i suoi componenti scricchiolano. E lo stesso può accadere quando altre forme di espressione – anche cruciali, come il voto democratico - sono messe in discussione, o il loro valore apparentemente avvilito da esempi negativi e deprecabili. Si rischia di perdere la fiducia nella società stessa, nelle sue istituzioni, e persino di rompere il patto convenzionale che la regge.

Un recente intervento piuttosto amaro del mio amico Salvatore Privitera mi ha fatto venire in mente questo treno di pensieri. Con riferimento allo scandaloso recentissimo mercimonio di voti al parlamento italiano, Pazuzu arriva a definire per estensione la pratica del voto “un rito vuoto”. Un esempio sconcertante, quello del voto di ieri, di rappresentanza parlamentare deviata dall'interesse personale e irrispettoso del dovere istituzionale. La reazione che ha ingenerato, in Turi come penso in molti altri, mi pare infatti rappresentativa di una classe di comportamenti più generale – quella secondo cui l’uso miserabile, anche ripetuto, che alcuni miserabili individui fanno degli strumenti messi a disposizione dalla società (dal voto alla possibilità di protesta) debba irreparabilmente indurre uno svuotamento del loro valore (vedi gli effetti del mercimonio e delle violenze post-votum, rispettivamente). Si tratta di una percezione parzialmente condivisibile, se non giustificabile con lo sdegno personale di fronte a voltagabbana approfittatori e teppisti; ma che, secondo me, non deve progredire oltre lo stadio di percezione: sarebbe letale permettere a degli esempi negativi del genere di essere amplificati per imitazione personale, nella maniera in cui stimolassero altri a diffidare di quei mezzi stessi. E questo proprio in virtù delle proprietà dei sistemi collettivi.
L’imitazione è una forma di auto-controllo (o auto-determinazione) molto forte delle masse sociali: forma e muove opinioni, segna la memoria, induce abitudini e libera dalla fatica del ragionamento. E’ un meccanismo di amplificazione, che può dar luogo a fenomeni anche imprevedibili e di dimensioni relativamente grandi. Tuttavia, in molte società evolute o dai legami sociali o tradizionali molto forti, il controllo sociale interpersonale (nelle forme della decenza, vergogna, isolamento, ripudio) viene prima o è tanto potente quanto quello normativo. Polarizzare l’imitazione verso il peggio, o farla innescare dallo sconforto o dalla rassegnazione (per quanto ciò possa tentare), semplicemente non vale la pena – anche o soprattutto considerando quanto possa fare l’imitazione stessa se indirizzata nel senso corretto.

Forse con malcelata ingenuità (nella misura in cui qui non tengo conto dei presunti o acclarati poteri forti che tramano nella società), continuo a credere che fare bene il proprio dovere (comportamento individuale) e mettere gli altri nelle condizioni di poterlo fare a loro volta (interrelazioni), per quanto possibile, siano atteggiamenti (in cui includo la protesta e la disubbedienza civile, quando necessario) che meritano di essere praticati a prescindere, perchè consistenti e socialmente costruttivi in sè, tali da essere inalienabili ed inattaccabili anche da esempi della peggior risma. Peraltro, in molti casi non è dato al singolo di poter fare di più. Se poi anche i mezzi di comunicazione (condizioni al contorno) aiutassero a catalizzare il passaparola ed ad allestire la massa critica di buoni esempi, la società tutta ne gioverebbe sostanzialmente e più rapidamente.