Questa tendenza diffusa all’integrazione di molteplici funzioni su piattaforme o dispositivi integrati ed indifferenziati sembra derivare da un imperativo del comfort e della minima azione.
Comunicazione e informazione istantanee, intrattenimento multimediale, voci enciclopediche e molto altro sono sempre tra loro più vicini su questi supporti digitali, letteralmente a distanza di pochi click uno dall’altro. Perchè è più facile, prende meno tempo e forse meno denaro, occupa meno spazio, e si può praticare più di una attività allo stesso tempo e nello stesso posto, se si vuole.
Tale tendenza alla commistione delle funzioni tende ad affermarsi, sebbene non esclusivamente, sulla base di un abbassamento della soglia di preparazione richiesta agli utenti per farne uso. E’ fuori discussione che l’astrazione tecnologica dalla fisica all’informatica passando necessariamente per la microelettronica sia un bene sostanziale. La conseguente semplificazione dell’utilizzo – o meglio, la sostituzione e mascheratura degli specifici dettagli di funzionamento a favore di regole ed interfacce di utilizzazione intuitive, addirittura attraenti ed appaganti - di complicatissimi dispositivi ingegneristici frutto di anni di ricerca e di sperimentazione è un risultato potentissimo della moderna tecnologia (e che culmina una tendenza iniziata dagli albori della civiltà) nella misura in cui, proprio in virtù di suddetto abbassamento di soglia, utenti non specializzati possono rapidamente impadronirsi di strumenti che amplificano la loro produttività, permettono di aggiorarsi ed interagire su molteplici fronti, e sostanzialmente essere onniscienti. Al contempo, tuttavia, tale riduzione dei prerequisiti di utilizzo può indurre l’amplificazione dei comportamenti di evasione, l’infiltrazione di dati non filtrati (e il conseguente rumore informativo), ed un impoverimento del valore attribuito e del rispetto dovuto a quelle stesse funzioni che si cercano.
Viene cioè da pensare che l’apparente semplicità, di accesso od operazionale, di una funzione ne riduca implicitamente l’importanza percepita; e che questo a sua volta si manifesti in una riduzione della qualità dei contenuti veicolati e del tempo dedicato alla loro elaborazione e fruizione. Per dirlo in immagini: se si potesse scrivere ancora soltanto con lo scalpello sulla pietra, o se si potesse suonare soltanto organi a canne azionati a mano, con ogni probabilità si penserebbe molto più a cosa scrivere prima di sprecare pietra, o a cosa suonare prima di sprecare fatica manuale.
Su questa tendenza barbarica, come suppongo la definirebbe Baricco, si installa quella della sostituzione di una o al limite poche attività solide e ben corroborate con una moltitudine di attività minime, sporadiche e che richiedano periodi brevi di attenzione e concentrazione – le altre vengono semplicemente procrastinate. Questa seconda tendenza è quindi sugellata dal e favorita nel multi-tasking con la summenzionata giustapposizione a portata di pollice di tutto l’armamentario di funzioni richiesto per colmare la vacuità di pensieri e contenuti lasciata dalle precedenti. Del resto, proprio quando una funzione o attività è divenuta sufficientemente piccola risulta immediato pensare di accorparne (essendo possibile) tante di questo tipo in uno stesso strumento, canale, luogo contenitore. Ecco allora lo stuolo integrato e portatile di messaggi istantanei, presunte notizie, divertimenti, geolocalizzazioni e digressioni multimediali, in cui il rischio di omogeneizzazione e indifferenziazione del significato, e di travaso della trivialità da una attività all’altra è grandemente accentuato, se possibile fino a diventarne l’effetto unico sotteso a lungo termine – assieme all’isolamento indotto dall’illusione della connessione globale illimitata. Quando poi tutto questo tende eventualmente a diventare la routine di funzionamento normale del cervello, le cose diventano serie e sostanziali.
Con il multi-tasking mentale si cerca di replicare quello dei computer, che mostrano all’utente di svolgere più compiti nello stesso istante mentre in realtà li svolgono in rapidissima sequenza, previo spezzettamento in frammenti operazionali che vengono eseguiti in maniera alternata. Tendo a credere che una mente umana che non sia schizofrenica non sia ancora attrezzata a fare lo stesso – ammesso e non concesso che ne valga la pena; vale a dire, non penso che la mente possa cambiare rapidamente e ripetutamente di contesto lungo una sequenza di attività sostanzialmente diverse tra loro – a meno, per l’appunto, di non indurre qualche forma di avvicinamento, identificazione o banalizzazione tra le stesse attività: travasamenti di contenuto o significato, indifferenziazione della priorità e dell’importanza, stesso contesto mentale per tutte le attività, trivializzazione delle stesse. Con abbondante condimento di stress, straniamento, indistinzione tra reale ed artefatto, potenziale perdita di controllo ed atrofizzazione della creatività.
E tutto questo ancora e sempre in nome della minima resistenza all’azione e del massimo comfort, che rimuovendo limitazioni ed agevolando ogni opzione aumentano contestualmente l’ansia di fronte alle scelte.
In qualche maniera, radio e televisione avevano già accelerato un trend di commistione dei contenuti al loro comparire, proiettando notizie, pubblicità, intrattenimenti, cultura ed altro ancora dallo stesso supporto. Un mélange che, seppure non spazialmente, era quantomeno temporalmente coordinato (almeno quando a questi strumenti si dedicava attenzione piena); a differenza dell’omnipresenza spaziale e temporale permessa da Internet e le sue pervasive appendici.
Certo, quelle menzionate rappresentano soltanto manifestazioni di una amplificazione tecnologica di tendenze ataviche che, azzarderei, vedono nella riduzione dei tempi di accesso alle e dell’energia di attivazione delle funzioni e degli strumenti un vantaggio evolutivo per la specie – risparmio di energie, minor tempo di reazione di fronte a cambiamenti repentini di contesto. Senonchè, tutto ciò arriva ad assomigliare ad un regime metabolico da battaglia perpetua anche oggi, cioè quando, volendo, se ne potrebbe avere molto meno bisogno.
Per invertire tendenza e riprendersi un pò di tempo per se stessi, suggerisco, quando ed ove possibile o non strettamente necessario, di ridurre l’accorpamento indiscriminato di funzionalità nello stesso supporto, organizzandole ad esempio per aree semantiche, od utilizzando computer, smartphones e simili supporti multimediali per un task alla volta.
E soprattutto, riscoprire il valore delle procedure e dei rituali – come la lettura delle istruzioni, l'ordinamento degli ambienti, gli spostamenti tra ambienti, la scrittura della recensione del libro appena letto, chiusura e riapertura degli strumenti di lavoro, et similia – intesi come sequenze ordinate di azioni preparatorie che permettono la focalizzazione sulla prossima attività da svolgere mentre consentono un cambiamento di contesto graduale e ragionato. Dal punto di vista barbarico, sono delle evidenti perdite di tempo. Si tratta invece di occasioni intercalate di meditazione, porzioni sistematiche di tempo preso per la cura di sè: rallentano i ritmi, migliorano l’efficienza delle performance, aumentano la propriocezione e la consapevolezza del momento.
Nell’invitare alla lenta rimuginazione ed a non evitare le vie difficili o dolorose alle cose, Nietzsche (tra gli altri) potrebbe aver già gettato un’ombra su tutto questo.
1 commento:
Penso che hai perfettamente ragione e che tutte queste comodità sono spesso effimere perchè indotte dal marketing.
Quando avremo tutti il sederone quadrato, forse capiremo che cosa ci è veramente utile e che cosa invece no.
Ma qualcosa si sta muovendo: l'insospettabile ascensore sta cominciando ad essere messo in discussione da messaggi che invitano a far le scale per fare un minimo di... moto.
ciao :-)
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