mercoledì 15 settembre 2010

Colui che fece girare le sfere


Con la scoperta di quello che poi sarebbe stato chiamato primo principio della dinamica, Galileo iniziò a far girare le sfere. Secondo codesto principio, un corpo (celestre o terrestre che sia) persiste nel suo stato di moto finchè una causa esterna non interviene a modificare tale stato. Questo significa (con tripudio eracliteo, e molto prima che ciò venisse riscoperto e sottolineato dalla meccanica quantistica, in un contesto completamente diverso) che lo stato di quiete di un corpo non è necessariamente il suo stato naturale: la quiete è un caso speciale di moto un corpo, ovvero un moto con velocità (e accelerazione) nulla – un’eccezione, più che la regola. Questo spazzava via millenni di legge aristotelica, peraltro in una maniera piuttosto contorta (perchè l’empirismo e il materialismo dei lavori galileiani era considerato di ascendenza aristotelica; senonchè poi Galileo giunse alla sua conclusione attraverso un ragionamento asintotico (non riuscendo a eliminare praticamente tutto l’attrito nei suoi esperimenti) che lo fece sfociare in un ambito meta-fisico, più prerogativa del platonismo).
E fece gagliardamente girare le sfere - in senso cosmologico e figurato.
In senso cosmologico, il principio confutava di per sè, in sostanza, la necessità stessa di un etterno motore primo immobile, ovvero di quella sfera celeste esterna alle altre e sede del sommo manovratore, la quale, sebbene supposta immobile (per tradizione oserei dire parmenidea), purtuttavia innescava causalmente il moto delle sfere interne a cui erano appesi i pianeti rotanti attorno alla Terra.
Questo sconvolgimento della scenografia celeste costituiva allo stesso tempo un gran giramento di sfere per l’ortodossia cattolica egemone al tempo, che faceva della dimostrazione tommasea (di matrice ancora aristotelica) ex motu uno dei cardini dell’esistenza del suddetto manovratore. Quella lesta dimostrazione - e per estensione tutte le altre ad essa somiglianti tramite inversione (vedi la ex fine) o altre simmetrie - veniva dal nostro tacitamente privata di fondamento. E ciò avveniva ancora prima che tutte queste dimostrazioncine venissero letteralmente annichilite dalla confutazione humiana del principio stesso di causalità.
Su questa base clamorosa si può aggiungere quel che è più noto - e che fu formalmente punito dal porporato (non di vergogna, ahimè) Bellarmino – e cioè che poi quell’eversivo di Galileo appoggiò di peso la teoria eliocentrica (nonostante fosse anche un buon astrologo!), presentata da Copernico e già avallata da Keplero. Ma mentre il (sapientissimo ed esoterico) Keplero era considerato certamente un ganzo ma sui generis (sapete, lavorava a Praga per Rodolfo II, il re invasato per l’alchimia, insomma non si poteva prendere molto sul serio ecco...), il consenso di Galileo all’astronomo polacco fu problematico. Innanzitutto, era geograficamente più vicino; poi, era cattolico (quanto Keplero e tutti gli altri, del resto); e soprattutto, dava inizio a quella che è stata definita a posteriori la rivoluzione kepleriana della scienza. Essa si basa sul seguente, temibile assunto: se un modello matematico si dimostra capace di descrivere con precisione un fenomeno naturale, allora esso rappresenta una legge che pertiene de facto alla natura, cui cioè la natura stessa obbedisce. Ovvero, se un tale modello esiste, esso di per sè deve essere ontologicamente vero. Mentre la rivoluzione copernicana fu eminentemente cosmologica (e sarà emulata da Kant secoli dopo in campo gnoseologico), quella kepleriana fu filosofica prima che metodologica. Con essa si attribuiva valore di verità fondamentale e sostanziale alle scoperte empiriche, e divenne un caposaldo della nascente Scienza in senso moderno.
Si può sospettare che questo impietoso spodestamento del nos diximus a favore di una costante e progressiva sostituzione di modelli vigenti e perfettibili, assunti al livello di leggi temporanee di natura, sia stato l’elemento dell’attività di Galileo filosoficamente meno tollerabile da parte dei teologi cattolici. Che ancora sognano di tornare all’epoca in cui la loro esclusiva loggia dettava legge.

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