
Si sente spesso parlare di sensualità dell’arte. Riflettendoci, penso che ciò celi una sorprendente discriminazione. Ma anche che ci sia un sempiterno esempio.
Tutte le arti si rivolgono a un numero limitato di sensi, e comunque non li soddisfano certamente tutti allo stesso modo. Tutte si rivolgono, in un modo o nell’altro, alla mente, ma si concentrano su e sono veicolate massimamente da vista e udito. La cucina, certamente una forma artistica di chimica, si occupa del gusto.
E per il resto? Chi si dedica all’olfatto e al tatto?
E’ vero, si da il caso di concerti in cui essenze diverse venissero dissolte nell’aria in corrispondenza di opportuni brani (mi dicono che l’abbia fatto perlomeno Jovanotti). E certo entrare in profumeria, sniffare colla o benzina, o maneggiare compost organici può fornire soddisfazioni erotiche o regalare piaceri anche intensi. Ma cosa fare per il tatto?
Bisognerebbe forse chiedere a chi legge in Braille cosa si aspetta per opera d’arte ideale? O andare a tastare tutte le tele del mondo per scoprire il pittore che aveva il tocco migliore? O pompare gli amplificatori sempre al massimo per essere scapigliati e cappottati dalle casse degli impianti di diffusione?
Io guarderei più vicino. E penso che l’arte sensualmente più completa ed appagante sia: il sesso.
Visioni, auscultazioni fruscii ansimi grida, odori, gusti, palpatine massaggi strusci sfregamenti baci; geometrica complementarietà e compenetrazione dei corpi; armonia di forme e di ritmi; coinvolgimento e sconvolgimento di segreti e secrezioni.
Roba da dio.
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