martedì 21 settembre 2010
Sulla teoria ultima - parte 1: possibilità
In ambito fisico, dal secondo dopoguerra in poi - a partire forse dall’attenzione riservatavi nei suoi ultimi anni di ricerca da Einstein - si succedono speranze, invocazioni o veri e propri annunci del ritrovamento di teorie del tutto, che nella accezione dei fisici dovrebbero dischiudere l’onniscenza sull’intero mondo fisico all’uomo. Senonchè queste teorie riguardano soltanto le particelle elementari. Dunque si basano su assunti di riduzionismo e materialismo estremi: conoscendo le leggi ultime che disciplinano le proprietà di e le interazioni tra le particelle elementari, sarà data automaticamente la conoscenza del mondo fisico nella sua interezza di dimensioni – perchè le particelle elementari spiegano la fisica tutta, la fisica spiega la chimica, la chimica spiega la biologia, la biologia spiega l’ecologia, e proseguendo questa spirale ascendente di sapore vagamente hegeliano si espanderebbe a includere ogni aspetto dell’esistente.
Può anche darsi che sia così. Tuttabia, tale programma di ricerca, emblematico della big science – che a partire dagli anni ’70 del secolo scorso si fonda sul Modello Standard, e sembra (da poco tempo dopo) essersi ingolfato nei funambolismi e avviluppamenti matemagici della teoria delle superstringhe – potrebbe essere messo in difficoltà da altre discipline scientifiche; per esempio, da quell’insieme eterogeneo e sinergico di concetti e metodologie collettivamente chiamato (scienza della) complessità, che dimostra ormai da tempo come anche sistemi apparentemente semplici di enti interagenti posso dar vita a fenomeni a priori imprevedibili e di grande contenuto informativo. D’altra parte, per rispondere all’interrogativo di sopra qualcuno potrebbe anche citare (probabilmente a sproposito) i teoremi di incompletezza di Gödel e di indecidibilità di Turing; oppure Hawking, che dedicò all’argomento la seconda parte della sua lezione (Nascita del tempo e fine della fisica) di insediamento sulla cattedra di Cambridge che fu di Newton, nonchè la conclusione del suo Dal big bang ai buchi neri. In quest’ultimo (libro divulgativo), egli prende in considerazione tre scenari possibili per la teoria del tutto: la teoria non esiste e la scienza prosegue ignara di brancolare nel buoi; la teoria esiste e gli umani si avvicinano asintoticamente alla sua conoscenza; la teoria esiste e gli umani la scoprono (e si suppone che la comprendano), nel qual caso non resterebbe che definirne i dettagli e poi semplicemente vivere, sapendo di essere entrati nella mens dei (si spera spinoziano, vale a dire sive natura) – e, si potrebbe aggiungere ora, dedicandosi finalmente (solo) al lato construens (o, con termine abusato, olistico) della scienza. Roba forte la terza via, ma contraddistinta da una certa connotazione di tristezza - che forse è semplicemente intrinseca all’idea di terminazione dell’impresa scientifica (riduzionista) e di fine in sè – e di già visto.
Si, perchè questo non deve ingannare: la fine della fisica è stata anch’essa ripetutamente predetta e sancita nel corso degli ultimi decenni, a partire da un secolo prima della lezione di Hawking. Era infatti sentimento comune e palese alla fine del XIX secolo che in fisica non mancasse da fare altro che definire la quinta o sesta cifra decimale delle grandezze già note. Tutto sembrava già fatto, spiegato, compreso, evidente, a posto. Ma si trattava, di un’illusione imbarazzante, perchè da li a poco dovevano figurare Roentgen con i suoi raggi X, Becquerel con le sue lastre fotogragiche impressionate al buio, Plank con il suo quanto di azione, Nernst con il ruolo attivo e non-locale del vuoto, i fratelli Wright con i loro (veli)voli impossibili, Einstein con le sue relatività, i già citati Gödel e Turing con le loro risposte negative ai rispettivi quesiti di Hilbert, Fermi con le sue pile atomiche, Feynmann con la QED e Gell-Mann con la QCD, Lorenz con il suo attrattore strano, Salam e Weinberg con l’unificazione elettrodebole, Preparata e Del Giudice con la QED coerente – e solo per citarne alcuni!
Per quanto detto, viene da pensare che oggi la situazione possa essere un ricorso di quanto già occorso – sebbene entro condizioni al contorno inevitabilmente diverse. In particolare, oggi non domina più l’atteggiamento positivista di Comte e Mach, in voga alla fine dell’800 e di per sè autolimitante nei confronti del progresso della scienza oltre i confini dei sensi umani – e che infatti fu eluso ben presto da tutti, sulla tragica scia di Boltzmann. Al contempo, la big science è sempre più onerosa; alcuni scienziati sono diventati miti intoccabili, e le loro teorie approcciate con reverenza quasi dogmatica o fideistica; e in alcuni ambiti si avverte un certo conservatorismo e fazionismo di ascendenza extra-scientifica. Ad accomunare le due epoche è però la superstizione di un certo integro-fondamentalismo di matrice religiosa, ancora ignorantemente shockato dalla sconfinata recessione del posto e del ruolo dell’uomo nell’universo, e geloso dei progressi scientifici che insidiano le sue derelitte teorie – oh si, i fondamentalisti religiosi si, che possiedono (e da quanto tempo!) la conoscenza definitiva!
Tuttavia, il tempo sta accelerando, sempre più.
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